La governance delle Politiche di Coesione
Edizione 2024Position paper a cura di Maria Ludovica Agrò, Giuseppe Coco e Amedeo Lepore
Perché discutiamo di governance
Governance oggi è la parola chiave per tutti i processi di cambiamento e l’Unione Europea e la Politica di Coesione, nel rinnovarsi, trovano al cuore della trasformazione proprio questo tema. La capacità di attuare gli investimenti e le riforme in modo coerente con i fabbisogni di sviluppo del Mezzogiorno è la lente che Fondazione Merita vuole usare per approfondire le modifiche che dal 2022 hanno cambiato la governance della Politica di Coesione e quelle che verranno. A conferma della centralità del tema, la Commissione Europea ha appena licenziato il Rapporto dell’High Level Group on Cohesion in cui si conferma l’esigenza di centralità delle Politiche di Coesione ma si richiedono anche ampi miglioramenti alle capacità istituzionali e gestionali e un rafforzamento dell’approccio di governance multilivello. Inoltre, il Rapporto richiede la transizione a un sistema performance-based (come per il PNRR).
La stessa Commissione ha approvato a fine novembre, dopo una lunga interlocuzione, la rimodulazione del PNRR italiano con l’inserimento di 145 misure, nuove o modificate, e del capitolo RePower EU, finalizzato a rendere l’Europa indipendente dai combustibili fossili russi prima del 2030. A queste disposizioni si sono aggiunte sette nuove riforme, fra cui quella sull’approccio alla Coesione. Contemporaneamente, è entrata nel vivo la Programmazione 2021-2027 dei Fondi SIE, a due anni dal suo avvio nominale per i ritardi nell’approvazione dei Regolamenti e a seguire degli Accordi di partenariato e dei Programmi. Le risorse di questa programmazione sono ingenti: 42,7 mld € di risorse comunitarie (FESR, FSE, JTF e FEAMPA) e 32,4 mld € circa di cofinanziamento nazionale, 75,8 mld € per il Fondo Sviluppo e Coesione, per un totale di oltre 150 mld € in un settennio. L’impostazione dell’Accordo di partenariato con la UE è articolata su cinque Obiettivi strategici di policy, attuati attraverso i Programmi Regionali promossi da tutte le Regioni e le Province Autonome (cui sono riservati circa 48,5 miliardi di euro) e 10 Programmi Nazionali (cui sono riservati 25,6 miliardi di euro). Gli Obiettivi di policy adottati in sede UE non sono sostanzialmente diversi dalle sei missioni del PNRR ed anche il Fondo di Sviluppo e Coesione si allinea: da qui la necessità di un coordinamento. Del resto, il documento su “Aree Tematiche e Obiettivi Strategici” del marzo 2022, confermando le precedenti 12 Aree Tematiche del FSC, proponeva di aggregarle in un obiettivo unificante intrecciato con tutte le medesime aree, il Capitale umano, e in quattro grandi macro-ambiti trasversali: Adeguamento, semplificazione e potenziamento della capacità amministrativa ai compiti del Piano; Attività Produttive, Innovazione, Lavoro e Competitività; Cultura, formazione, salute e società; Logistica, digitalizzazione, ambiente e rigenerazione urbana. La centralità delle politiche di investimento può permettere agli interventi del FSC, anche grazie alla complementarità con il PNRR, di generare un effetto moltiplicatore molto ampio, attraverso l’attivazione e l’implementazione degli investimenti privati.
La legge di bilancio per l’anno 2021 (legge n. 178/2020) prevede, peraltro, che la dotazione finanziaria relativa al ciclo di programmazione 2021-2027 sia impiegata in coerenza anche con le politiche di investimento e di riforma previste nel PNRR, fermi restando i principi di complementarità e addizionalità. Le nuove disposizioni introdotte dal D.L. n. 124/2023 (articolo 1) – che riformula integralmente la disciplina di programmazione e gestione del Fondo Sviluppo e coesione – statuiscono che gli interventi finanziati con le risorse del Fondo siano attuati attraverso appositi Accordi per la Coesione tra il Ministro per gli affari europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il PNRR e ciascun Ministro interessato, ovvero ciascun Presidente di Regione, rafforzando una prassi instaurata già nel 2014-2020 con i Patti per il Sud, che aveva dato buoni risultati proprio per l’assetto dialogante e di monitoraggio congiunto, controbilanciato dall’adozione di cronoprogrammi e da un regime sanzionatorio.
L’attuazione delle Politiche di Coesione e la PA debole
Nella 8a Relazione sulla Coesione, pubblicata a inizio 2022, la Commissione europea osservava che dal 2001, mentre “le regioni meno sviluppate dell’Europa orientale hanno iniziato a rimettersi al passo con il resto dell’UE, con una conseguente riduzione significativa del divario relativo al PIL pro-capite (…) molte regioni a medio reddito e meno sviluppate, soprattutto quelle dell’Europa meridionale e sud-occidentale, hanno risentito di una stagnazione o una contrazione economica.”
Tale osservazione riguarda soprattutto l’Italia e le sue regioni – specialmente meridionali, ma non solo – che si trovano in quella che la citata Relazione definisce la “trappola dello sviluppo”. La Commissione europea individua i fattori di questa trappola in carenze strutturali specifiche, come l’inefficienza del mercato del lavoro e dei sistemi di istruzione, la formazione e l’apprendimento per gli adulti, gli scarsi risultati nei settori dell’innovazione, della governance pubblica o della crescita delle imprese e l’accesso limitato ai servizi.
Nel capitolo del DEF 2023 dedicato ai “Fondi europei”, il Governo ha confermato una profonda riforma della governance per l’attuazione del PNRR e dei 68 programmi – nazionali, regionali e Interreg – della Politica di Coesione 2021-2027, evidenziando come uno degli aspetti più critici nella gestione dei fondi europei rimanga la debolezza delle capacità della Pubblica amministrazione a ogni livello e, in particolare, per quanto riguarda gli investimenti, l’attuazione delle norme in materia di appalti pubblici.
Questo giudizio viene confermato dallo stato di avanzamento della Politica di Coesione in Italia che, seconda beneficiaria dei relativi fondi, pochi mesi prima della scadenza di fine 2023 risulta aver rendicontato l’80% delle risorse programmate per l’impiego delle risorse nel ciclo 2014-2020 (così sul sito della Commissione al 25 marzo 2024, in attesa delle ulteriori rendicontazioni). Anche se in passato nessun programma italiano ha subito il disimpegno automatico, è condivisibile quanto osservato dalla Commissione sui dati strutturali di debolezza del Paese riguardo alla PA, soprattutto come soggetto attuatore.
Il rafforzamento amministrativo è quindi l’asset su cui concentrare i maggiori sforzi di miglioramento, anche in considerazione dell’efficacia degli obiettivi connessi alla transizione ecologica e digitale. È evidente come sia necessario che la PA ai vari livelli sappia avviare processi in grado di individuare correttamente i fabbisogni delle comunità e dei territori, ma anche di offrire sostegno tecnico, elemento questo che Merita giudica imprescindibile per realizzare l’attuazione della programmazione e la messa a terra delle opere. Inoltre, la dispersione in piccoli progetti, che è un elemento costante di critica verso le risorse della Coesione assegnate, appare dettata anche dai tempi di realizzazione delle grandi opere e delle opere pubbliche in generale. Ne discende che – anche se i piccoli progetti non possono essere del tutto eliminati, corrispondendo in taluni casi ai fabbisogni delle comunità locali – occorre affrontare con urgenza il tema dei tempi di esecuzione delle opere di taglia maggiore, contestualmente a tempi della programmazione compatibili con quelli della programmazione europea. Una riflessione va poi fatta sulla destinazione del rimborso dei Fondi strutturali da parte della Commissione Europea: si ripete troppo spesso la prassi di rendicontare progetti originariamente finanziati con altre fonti che il più delle volte non sono state reindirizzate a finanziare ulteriori investimenti, facendo perdere così alle risorse europee il requisito dell’addizionalità che è essenziale per ridurre i divari.
Occorre poi tenere conto che a livello UE la Politica di Coesione ha visto un progressivo ampliamento della portata dei propri obiettivi e ha rafforzato il collegamento con gli scopi di politica economica, investendo su interventi orientati alla crescita e ai risultati. I Fondi strutturali, da elementi di redistribuzione solidale fra regioni europee con diversi gradi di sviluppo, si sono trasformati sempre più in strumenti di orientamento delle politiche economiche. Tuttavia, se la sinergia fra Politica di Coesione e riforme strutturali risponde a un obiettivo di coerenza, la moltiplicazione degli obiettivi aggiuntivi cui si piega l’utilizzo dei Fondi reca con sé alcuni rischi di perdere di vista quello costitutivo di riduzione dei divari territoriali.
L’interazione fra Coesione e PNRR
Le recenti norme di riassetto della governance del PNRR hanno influenzato anche quelle relative alla gestione delle Politiche di Coesione varate dal Governo, che individuano alcune criticità e cercano di prevedere un coordinamento fra i vari livelli di programmazione. Nella implementazione del disegno, si è partiti dal presupposto che la revisione del PNRR andava effettuata guardando ai progetti meno maturi e con minore possibilità di rispettare la deadline del 2026, sostituendoli e finanziandoli con fonti di risorse cofinanziate o nazionali caratterizzate da orizzonti di spesa più lunghi. Questo obiettivo poteva essere conseguito in due modi: congelando l’FSC, oppure agendo anche sul Fondo complementare e mettendo da parte solo la quota parte dell’FSC strettamente necessaria a finanziare i progetti esclusi dal PNRR, evitando di intaccare, in ogni caso, le risorse destinate al Mezzogiorno. Mentre, nel primo caso, si corre il rischio di ritardare l’avvio della spesa complessiva e di non rispettare il vincolo dell’80%, nel secondo, si potrebbero fare comunque partire gli interventi di coesione, senza ulteriori attese e ritardi.
Iniziamo quindi da qui per parlare di governance perché il PNRR, ponendo al Paese una sfida alta da cui la Coesione non è esente, ha il merito di avere introdotto un metodo che, partendo dalla Coesione e da prassi consolidate, le ha profondamente modificate e ha spinto la Commissione a organizzarsi, mediante la replica delle strutture di accompagnamento da sempre attive in DG Regio per i Fondi strutturali, ma con importanti novità.
Il modello di intervento che conferma la multilevel governance facendola evolvere verso un coordinamento “verticale” delle politiche degli Stati membri da parte della Commissione nasce dalle misure di contrasto alla Pandemia con l’acquisto dei vaccini. Il Consiglio europeo ha dato mandato alla Commissione di coordinare, monitorare ed erogare le somme individuate, lasciando agli Stati membri un potere di proposta. La riuscita del PNRR è la misura del successo di questo schema e da qui deriva una grande responsabilità, prima di tutto per il Paese, ma anche per il destino della stessa UE. La riduzione dei divari territoriali peraltro figura come uno degli obiettivi del PNRR, dato che questo strumento è stato adottato anche per la necessità di “evitare che dalla crisi in corso emergano nuove diseguaglianze”. La rinnovata centralizzazione delle politiche pubbliche di sviluppo, quale assetto indispensabile per raggiungere l’autonomia strategica in alcune tecnologie di frontiera, va letta in chiave globale, poiché l’influenza delle grandi macroaree come gli USA e la Cina, che da tempo hanno rilanciato la politica industriale, presenta un rischio di forte sbilanciamento per la competitività del continente europeo.
Oggi c’è un unico Ministro responsabile per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il PNRR, a nostro parere una risposta coerente e condivisibile all’esigenza di coordinamento e garanzia di massima sinergia. A fronte di un unico vertice politico ci sono due percorsi differenti per verificare le modifiche introdotte nella gestione del PNRR e in quella della Coesione e dei Fondi Strutturali. Per il PNRR, esiste una Struttura di missione, quindi un organismo ben codificato nell’ambito dell’ordinamento, con poteri e deleghe precise, che dipende dal Ministro per il Sud e opera a supporto della Cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Lo stesso DL 19/2024 ha poi accelerato la piena operatività della banca dati REGIS, imponendo un aggiornamento serrato e individuando un sistema di sanzioni per un disallineamento. Il DL individua anche le Cabine di coordinamento territoriali insediate presso ogni prefettura (articolo 9), che nascono per favorire il dialogo interistituzionale a livello locale, confermando, seppure con antenne diffuse sul territorio, una logica centralizzata nella gestione del PNRR.
Per quanto riguarda invece i Fondi strutturali e le Politiche di Coesione cofinanziate e nazionali, si conferma l’esistenza di una sola struttura amministrativa, il Dipartimento per le Politiche di Coesione e per il Sud presso la PCM, che ha assorbito l’Agenzia per la coesione territoriale, lasciando aperto il problema del coordinamento delle strutture attuative. Anche queste modifiche introducono una visione più centralizzata della governance, motivata con la necessità di garantire “un più efficace perseguimento delle finalità di cui all’art. 119, ovvero al fine di ridurre le disparità territoriali, tra cui lo storico divario tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno”.
La governance delle politiche di sviluppo ha oscillato grandemente nell’ultimo secolo. L’intervento straordinario nel Mezzogiorno, avviato negli anni ’50 con risultati di grande efficacia durante il suo primo ventennio, stabiliva centralmente i programmi, secondo un approccio top-down, mentre nella politica europea di coesione l’Unione ha sposato la filosofia dell’Europa delle Regioni. Si è utilizzato, quindi, nella Coesione un approccio place-based, che individua e realizza un percorso di sviluppo specifico a livello regionale, con risultati non sempre soddisfacenti. Il modello dei Patti per il Sud nel periodo 2015-18 ha affrontato la questione della programmazione e dell’attuazione coordinata ed efficace della spesa, cercando di contemperare le ragioni del coordinamento con quelle di una piena assunzione di responsabilità a livello territoriale.
Nel PNRR rimodulato è stata inserita una Riforma finalizzata ad accelerare l’attuazione della Politica di Coesione (PNRR 1.9.1) a livello nazionale, pensando ai due punti deboli: l’esecuzione e l’efficacia degli interventi. Si legge, infatti, nella Relazione: “La riforma mira ad accelerare l’attuazione e l’efficienza della Politica di Coesione in complementarità con il PNRR e tiene conto del Piano strategico della zona economica speciale unica”. Tale Riforma, che dovrà essere concordata con la Conferenza Unificata, è stata condivisa dalla Ue, ma la Commissione ha sottolineato che “i fondi strutturali come Fesr e Fse sono misure basate sul rafforzamento della capacità amministrativa, sulla titolarità locale e sul partenariato”. Inserendo nella revisione del PNRR la “milestone” sulla riforma, è stato aggiunto un vincolo europeo su cui fare leva, senza dover modificare l’Accordo di partenariato 2021-2027.
Il decreto di riforma concentrerebbe le risorse sui servizi essenziali (risorse idriche; infrastrutture per il rischio idrogeologico e la protezione dell’ambiente; rifiuti; trasporti e mobilità sostenibile; energia; sostegno allo sviluppo e all’attrattività delle imprese, anche per le transizioni digitale e verde), soprattutto per le regioni del Sud. Si pensa quindi di accelerare la fase di attuazione anche attraverso un’ulteriore concentrazione tematica, oltre quella imposta dall’Accordo di Partenariato. La finalità potrebbe essere anche quella di adottare il metodo PNRR, con piani di realizzazione vincolanti delle opere per tutti gli interventi della Coesione, un metodo che in effetti dovrebbe essere utilizzato per tutti gli investimenti pubblici perché non finisca per trattarsi solo di accelerazione della spesa per necessità di rendicontazione. Uno dei punti forti è inoltre la previsione di una sanzione, limitata alla quota di cofinanziamento nazionale, per le Regioni che non completeranno i progetti entro le scadenze.
In questa visione complessiva si inseriscono non solo il PNRR e i Fondi Strutturali, ma la Zona Economica Speciale Unica. La efficacia della ZES Unica è strettamente legata alla tempestiva istruttoria delle istanze presentate allo sportello S.U.D ZES dalle imprese al fine del rilascio dell’autorizzazione unica e degli strumenti per il godimento per il credito d’imposta, che sono ancora in fase di elaborazione, così come il Piano Strategico della Zona. A questo proposito, va valutata positivamente l’idea di un saldo coordinamento nazionale della ZES, che includa, però, l’apporto operativo delle singole Regioni meridionali.
La riforma, molto ambiziosa, va costantemente monitorata per verificare il funzionamento della Struttura di Missione nella gestione di centinaia (speriamo) di istanze e procedure. Inoltre, la scelta di allargare la ZES all’intero territorio del Mezzogiorno presenta il pericolo concreto di indebolire la funzione di attrazione di grandi investimenti in aree limitate, caratterizzate dal loro ruolo strategico per portualità, logistica e industrie connesse. La dispersione delle risorse su tutta l’area meridionale rischia di indebolire la stessa specialità ed efficacia dello strumento. Si dovrebbe quindi valorizzare il ruolo del Piano Strategico nell’enucleare priorità settoriali e territoriali di investimento e della Struttura di Missione nell’indirizzare gli investimenti in coerenza con la programmazione del Piano, ferma restando la validità dei vantaggi regolamentari e fiscali in tutto il Mezzogiorno.
Conclusioni e proposte
Un’azione di coordinamento nazionale e di strumenti di incentivo (con anche sanzioni) alla realizzazione degli investimenti è indispensabile rispetto al passato. È però necessaria un’impostazione partecipativa di accompagnamento e collaborazione, proponendo anche un modello gestionale condiviso da realizzarsi negli Accordi di Coesione. L’approccio deve essere di monitoraggio proattivo e non può esaurirsi unicamente in sanzioni o poteri sostitutivi, pur necessari
La questione della qualità delle Pubbliche Amministrazioni resta centrale e va curata con attenzione sia in periferia che al centro.
Per affrontare il problema specifico della ZES Unica occorre verificare la efficacia della Struttura di Missione ed eventualmente predisporre correttivi per evitare l’ingolfamento della Struttura attraverso un accesso limitato alle procedure oltre soglia significativa, soprattutto per le Conferenze dei Servizi, preservando comunque i benefici delle semplificazioni a livello locale. Sarebbe anche auspicabile indirizzare le risorse e semplificazioni, dando priorità assoluta agli investimenti per la portualità, le infrastrutture logistiche concentrate in hub connessi ai porti e le attività industriali strettamente collegate a questi snodi.
Per un Paese come l’Italia che è il secondo percettore dei Fondi Strutturali, la Politica di Coesione, che vale un terzo del bilancio UE, è imprescindibile perché corrisponde alle esigenze di sviluppo del nostro Mezzogiorno, mantenendo l’orizzonte della riduzione del divario in un quadro condiviso anche a livello sovranazionale. Vi sono numerosi Paesi interessati nella UE a ridurne ampiezza e valore, mentre per l’Italia la Coesione è una politica che riconosce come il Sud ed il Mediterraneo meritevoli di sforzo europeo comune, e rappresenta la modalità per riportare allo Stato oltre la metà delle risorse del contributo nazionale.