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Le infrastrutture: energia, acqua, transizione verde

Edizione 2024

Position paper a cura di Giuseppe Coco e Mario Rosario Mazzola

Transizione e sicurezza energetica. 

Gli ultimi due anni hanno modificato in maniera sensibile le prospettive e i problemi che fronteggiamo nel campo energetico in connessione con i drammatici eventi bellici nel cuore dell’Europa. Gli elevatissimi prezzi di metà 2022 del gas naturale e a cascata dell’elettricità, la accresciuta volatilità di prezzo, ma ancor più i rischi sulla stessa capacità di far fronte alle necessità energetiche del continente e del nostro Paese in particolare, hanno messo in serio dubbio molto del ‘sapere acquisito’ in materia di energia. La transizione ecologica, concepita come un ordinato cambiamento graduale da governare con una serie di strumenti di policy, ha dovuto essere affiancata dalla condizione imprescindibile della sicurezza energetica e della riduzione dei rischi geopolitici. 

Allo stesso tempo però sono emerse anche notevoli possibilità e sviluppi sul piano tecnologico e politico, un numero tale da rendere la stessa forma della transizione relativamente incerta. Dall’emergere delle tecnologie dell’idrogeno, alle potenzialità aumentate dell’eolico offshore fino al rapido incremento di efficienza delle tecnologie rinnovabili (nel solare in particolare), ogni novità sembra aprire strade e configurazioni diverse sia per il cammino della transizione sia per l’assetto a regime dei nuovi sistemi energetici. 

Ognuna di queste novità però ha introdotto di per sé la consapevolezza di cambiamenti nella visione del governo dei sistemi energetici nazionali e di quello europeo:

  • da un lato è diventato chiaro che il rischio sulla sicurezza energetica era stato sottovalutato in maniera consistente nella vecchia visione, ed il ruolo dei mercati nell’assicurare questa sicurezza, senza azioni precise di incentivo e mitigazione del rischio sistemico, era sopravvalutato. Vedremo che questo tema riguarda soprattutto la necessità di avere capacità infrastrutturale in eccesso e sufficientemente diversificata;
  • dall’altro è emersa chiaramente la necessità di un maggiore coordinamento delle decisioni tra pezzi del sistema energetico. Si tratta di tendenze che in parte erano emerse anche in passato con la convergenza tra mercati della fornitura del gas naturale e dell’elettricità, ma che si sta rivelando molto più profonda. In effetti alcune tecnologie e una maggiore sicurezza energetica rendono più sfumati i confini tra la politica della fornitura energetica e la politica infrastrutturale e, allo stesso tempo, rendono potenzialmente più intensi i rapporti tra mercati del gas e dell’elettricità. Nel primo caso in particolare si tratta di rendere la programmazione delle infrastrutture più interdipendente e coordinata considerando che esistono delle traettorie di transizione, ad esempio quelle connesse allo sviluppo dell’idrogeno, che richiedono allo stesso tempo lo sviluppo di capacità produttiva, di infrastrutture adeguate di trasporto sia dell’elettricità che del gas, e un coordinamento significativo tra di esse;
  • infine, sono diventati più chiari i rapporti trascurati in passato tra transizione energetica e investimenti infrastrutturali e di capacità, in mercati che si suppone debbano recedere (gas naturale). Il potenziale effetto di una insufficienza di investimenti nell’oil and gas può rendere la transizione ‘disordinata’ (nei termini dell’Economist del mese di marzo) e i prezzi estremamente volatili dato l’assetto dei mercati interni.

Le infrastrutture energetiche necessarie

 I riflessi di quanto detto sul sistema infrastrutturale si sono visti già nella reazione alla crisi russa. La necessità di provvedere in tempi brevissimi alla sostituzione di forniture di gas russo – 155 miliardi di mc annui per la UE e 29 miliardi per l’Italia – ha complessivamente generato una reazione adeguata del sistema europeo e italiano. Nel nostro paese in particolare abbiamo visto vendicate le posizioni di chi si è battuto per aumentare e diversificare la capacità di importazione di gas (TAP) contro chi l’ha irresponsabilmente ostacolata con misere finalità elettorali, un problema di opportunismo. Contemporaneamente l’uso della capacità esistente da altre fonti e la installazione relativamente veloce di due rigassificatori ci hanno posto al sicuro. Il calo del prezzo del gas successivo non deve però indurci in facili entusiasmi. La volatilità di prezzo è un fatto di cui tener conto stabilmente nei prossimi anni (per le ragioni dette). Le esigenze di investimento, quindi, sono enormi se vogliamo rispettare i nuovi e sfidanti target del Green Deal. In particolare, considerando che in molti casi infrastrutture e capacità sono strettamente complementari ed in altri di fatto le infrastrutture sono capacità, le azioni minime richieste sono le seguenti:

  1. potenziare la capacità della rete elettrica di trasmissione nazionale in modo da sostenere l’ingresso in rete delle energie rinnovabili prodotte nel Mezzogiorno e la loro trasmissibilità sul mercato nazionale ed europeo;
  2. programmare le interconnessioni con l’estero che vadano in direzione del mercato unico europeo e al tempo stesso consentano l’interscambio con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, potenziali produttori di energie rinnovabili su vasta scala. Una strategia di massima potrebbe passare attraverso un Green Deal mediterraneo (Confindustria, Infrastrutture Energetiche per L’Italia e il Mediterraneo, 2020); 
  3. sviluppare sistemi di accumulo su larga scala, per sostenere l’ingresso in rete di energia da fonti rinnovabili; si tratta di definire la combinazione di batterie e pompaggi migliore dal punto di vista della sicurezza del sistema e dell’utilizzo delle risorse disponibili nei territori (per esempio le potenzialità connesse alle caratteristiche degli invasi dell’Appennino Meridionale, della Sardegna e della Sicilia); 
  4. continuare l’impulso alla flessibilità delle reti elettriche, in particolare quelle di distribuzione locale, attraverso “smart grid”;
  5. potenziare il trasporto del gas lungo la penisola anche ai fini di esportazione attraverso interventi di rinnovo della rete ad alta pressione e di completamento delle dorsali Sud-Nord (la dorsale adriatica) ed Est-Ovest;
  6. predisporre le connessioni di rete e gli impianti necessari a sostenere la transizione verso l’alimentazione a gas, in prospettiva a idrogeno, dei mezzi di trasporto marittimo e dei carichi pesanti nel trasporto terrestre.

Sono temi che riguardano tutti il Mezzogiorno, dove lo stato delle infrastrutture energetiche è segnato da uno storico ritardo nei confronti del Centro-Nord in termini di quantità e qualità, con un lento sforzo di adeguamento nel tempo. Soprattutto però alla luce delle priorità definite sopra due sono gli aspetti che appaiono ancora incompleti: l’efficacia del sistema di autorizzazione delle infrastrutture (e della capacità), la cui performance va controllata necessariamente con continuità; l’azione strategica e politica che deve essere orientata a rendere credibile la creazione di un hub energetico del Sud-Europa orientato all’Africa, analogamente all’hub energetico del Mare del Nord che sta moltiplicando la profittabilità ed economicità delle rinnovabili a vantaggio di produttori e consumatori. Infine, dal punto di vista politico è necessario che i Piani di sviluppo infrastrutturale predisposti dal coordinamento europeo degli operatori di rete (rispettivamente ENTSOG ed ENTO_E), già opportunamente coordinati tra settori, vengano in parte finanziati attraverso il Bilancio europeo o nuovo debito comune, considerando le difficoltà di finanza pubblica che il nostro Paese dovrà affrontare nei prossimi anni. 

La sicurezza degli approvvigionamenti idrici

Il cambiamento climatico, ormai sempre più impattante su molti aspetti dell’economia e della società, incide in maniera severa anche sul ciclo idrogeologico e sulla disponibilità di acqua, in particolare nelle aree del Mediterraneo che, secondo l’IPCC, rappresenta una delle aree d’Europa che saranno più colpite da episodi di siccità. Gli effetti sempre più estremi del cambiamento climatico, da un lato, e la crescente domanda di risorsa, dall’altra, rendono sempre più urgente agire per favorire la sicurezza dell’approvvigionamento idrico.

Il tema della sicurezza degli approvvigionamenti è particolarmente rilevante in Italia, un paese con un significativo rischio siccità, in cui negli ultimi anni si è osservata l’alternanza di lunghi periodi siccitosi con momenti precipitativi intensi che hanno messo in luce le criticità legate alla disponibilità della risorsa idrica in tutte le aree del Paese. L’elevato deficit di precipitazioni registrato su scala nazionale nel 2022 (-24% rispetto alla media 1991-20201) si è trasformato in una notevole riduzione della disponibilità naturale della risorsa idrica rinnovabile che si produce annualmente attraverso il ciclo idrologico. A livello nazionale, il valore della disponibilità idrica per l’anno 2022 è stato, infatti, pari ad un volume totale di 67 km3 ovvero il 52% in meno rispetto alla media del periodo 1951-2022.

Emerge, quindi, la necessità di affrontare, con un approccio sistemico e strutturale, la gestione delle risorse per garantire la disponibilità di risorsa e renderne possibili i molteplici usi. Una ridotta disponibilità, infatti, porta con sé il rischio di una competizione, anche economica, sui diversi usi dell’acqua, da quello per il consumo domestico a quello per la produzione agricola o energetica. A tal proposito, il servizio idrico integrato è chiamato, come gli altri usi, a rispondere attraverso una gestione oculata e attenta per garantire continuità di erogazione riducendo, al contempo, gli sprechi.  Infatti le cause delle crisi idriche sono sì certamente da ricondurre alla crisi climatica, ma sono accentuate da fattori di vulnerabilità del settore che devono essere necessariamente affrontati e superati. Le sfide imposte dagli effetti dei cambiamenti climatici sul ciclo idrologico, infatti, pongono nuovi obiettivi per i gestori del servizio che oggi, insieme a tutti gli altri attori coinvolti, sono chiamati a garantire una pianificazione intelligente, che tenga conto degli scenari climatici e demografici del futuro.

Per una gestione industriale del servizio idrico

Uno degli aspetti principali per garantire una gestione ottimale del servizio idrico integrato, riguarda la governance che, sebbene giunta a completamento in quasi tutte le regioni d’Italia, con 88 bacini2 in cui l’affidamento è avvenuto in maniera conforme alla normativa vigente e in cui risiede il 95% della popolazione nazionale, presenta tuttora delle residue criticità relativamente soprattutto in alcune aree del Sud Italia.  Il settore, inoltre, presenta ancora una frammentazione gestionale che interessa in particolar modo le aree del Mezzogiorno, dove permangono le gestioni in economia. Ad oggi, infatti, l’83%3 della popolazione italiana è servita da un unico soggetto che gestisce il servizio integrato mentre permane circa un 13% della popolazione nazionale (7,6 milioni di abitanti) dove i servizi idrici sono gestiti dai Comuni; si tratta di 1.465 Comuni localizzati essenzialmente nelle regioni del Sud del Paese. 

In tema di investimenti, risulta evidente che le gestioni industriali abbiano una capacità di investimento nettamente maggiore rispetto a quelle in economia. A partire dal 2012, anno di ingresso dell’Autorità di regolazione nel servizio idrico e in particolare a partire dal 2017-2018 cioè dall’entrata in regime della qualità tecnica del servizio (RQTI) introdotta da Arera, i gestori industriali hanno progressivamente aumentato gli investimenti che dai 33 € per abitante del 2012 sono passati ai circa 70 € per abitante del 2023 (+113%)4, corrispondenti a circa 4 miliardi di euro l’anno. A tal proposito, gli indicatori di qualità tecnica del servizio erogato evidenziano un profondo divario tra il Nord e il Sud, dove le gestioni in economia risultano più diffuse, e dove gli investimenti medi si sono attestati su 11 euro per abitante. Le risorse aggiuntive del PNRR, pari a circa 5 miliardi di euro, distribuite su una finestra temporale quinquennale, stanno dando certamente un impulso significativo, sia come sostegno finanziario sia come indirizzo agli investimenti; tuttavia, tali risorse, oltre che limitate al 2026, risultano insufficienti a coprire il fabbisogno del settore che è stato stimato pari ad almeno 6 miliardi l’anno. Ciò si traduce in un fabbisogno di ulteriori 0,9 miliardi di euro l’anno fino al 2026 da portare poi ad almeno 2 miliardi di euro l’anno dopo la chiusura del PNRR, necessari per innalzare l’indice di investimento e raggiungere i 100 euro per abitante destinati a rinnovare le infrastrutture, ridurre le perdite di rete e adeguare gli impianti alle normative europee sull’inquinamento.

Con l’emanazione del recente metodo tariffario MTI-4 l’Arera ha voluto rafforzare la centralità assunta dalla funzione pianificatoria con un allungamento del periodo regolatorio da 4 a 6 anni e dell’arco temporale della pianificazione delle opere strategiche (POS) sino a 12 anni. Arera proietta per la prima volta l’orizzonte della previsione degli interventi infrastrutturali su una dimensione di più lungo periodo e sovra-ambito, focalizzandosi sulla fase upstream e, di conseguenza, sulla sicurezza degli approvvigionamenti. Gli investimenti legati alla mitigazione del cambiamento climatico, infatti, avranno sempre di più una dimensione geografica maggiore e una scala di investimento che non potrà essere affrontata da un singolo gestore o da gestori di piccole dimensioni. L’Autorità ha inoltre introdotto strumenti regolatori innovativi e strutturali, come l’introduzione di un nuovo meccanismo di riconoscimento dei costi dell’energia elettrica e l’incentivazione del risparmio della quantità di energia complessivamente impiegata per la gestione del servizio. Infine, l’aggiornamento e arricchimento della regolazione della qualità tecnica, con nuove metriche per misurare l’efficacia dei sistemi di approvvigionamento rispetto alla domanda di risorsa idrica (indicatore M0), in ragione della necessità di rafforzare le misure volte a promuovere gli specifici interventi necessari a fronteggiare le nuove sfide riconducibili ai cambiamenti climatici.

Circolarità della risorsa e transizione digitale sono due tra i più importanti pilastri su cui si fonda il futuro del servizio idrico in Italia. La transizione digitale del settore idrico si sta già esprimendo con lo sviluppo di sistemi di gestione sempre più automatizzati.  

A tal fine, risulta fondamentale continuare il processo di integrazione verticale e orizzontale della gestione e favorire maggiori investimenti per far fronte agli interventi di cui il settore ha estremo bisogno. Un’opportunità in questa direzione è rappresentata dalle concessioni del servizio che, nei prossimi 5 anni andranno in scadenza, e che riguardano oltre 14 milioni di abitanti, che potrebbero rappresentare l’occasione per raggiungere l’unicità della gestione in diversi ambiti territoriali del Paese. 

Le sfide che deve affrontare il settore richiedono anche una razionalizzazione delle competenze a livello centrale, con la creazione di un’unica agenzia o dipartimento che conglobi le attuali competenze attualmente presenti al MIT, al MASE, al MIPAF e al MISE. Inoltre per realizzare un programma di rinnovo delle infrastrutture nel contesto del cambiamento climatico senza incrementare ulteriormente il debito generazionale è necessario disporre di un Piano Nazionale e di un programma finanziario pluriennali che diano certezza ai soggetti gestori e agevolino iniziative di finanza di progetto. Le diverse alternative proposte, quali la realizzazione di nuovi invasi e/o di dissalatori e lo sviluppo della pratica del riuso delle acque reflue, devono essere valutate all’interno di un contesto pianificatorio chiaro e di un orizzonte di lungo periodo. Il Piano Nazionale di Interventi Infrastrutturale e per la Sicurezza nel Settore Idrico in corso di definizione da parte del MIT si muove in questa direzione e la prossima finanziaria potrebbe rappresentare l’occasione per instituire la continuità di finanziamento necessaria per la sua realizzazione. 


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