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ZES unica, politiche di incentivo e risposta delle imprese

Edizione 2025

Policy Brief Merita

Il nuovo credito di imposta della ZES Unica: prime valutazioni e proposte di miglioramento

A cura di Giuseppe Coco e Ferdinando Ferrara

Abstract

Il credito d’imposta per investimenti industriali nel Mezzogiorno, introdotto dalla Legge di Bilancio per il 2016, è tra i pochi strumenti di policy della coesione a non essere stato bocciato da valutazioni economiche. Il decreto-legge n.124 del 2023 ne ha modificato il funzionamento, aumentandone la generosità e facendolo confluire all’interno del Programma strategico della nuova ZES Unica. A dicembre 2024 l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato i dati sulle richieste del credito ZES per la prima annualità, mostrando una spesa consistente, congruente con la copertura finanziaria. In questo articolo operiamo una prima comparazione tra le tipologie e il volume degli investimenti generati, da un lato dal nuovo credito d’imposta, dall’altro lato dal precedente credito Mezzogiorno nell’anno 2019.  Il risultato è che, nel suo primo anno di operatività, la nuova misura, nonostante la maggiore generosità delle aliquote e la più vasta platea di beneficiari, genera un minor volume di investimenti in beni strumentali rispetto al vecchio credito imposta Sud. Di seguito analizziamo le cause e i possibili rimedi. 

  1. Introduzione

La nuova ZES unica, istituita dal Governo Meloni con il decreto-legge 124 del 2023, rappresenta il contenitore strategico nell’ambito del quale l’esecutivo ha collocato gli interventi e le politiche per lo sviluppo del Mezzogiorno. In questo senso il successo della strategia complessiva del governo nelle politiche di sviluppo per il Mezzogiorno va necessariamente misurata col successo della ZES Unica.

Al riguardo, un ruolo centrale dovrebbe essere svolto dal credito di imposta sugli investimenti nella ZES unica, introdotto con il medesimo decreto. La nuova misura sostituisce il precedente credito di imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno e prevede al suo interno alcune novità che, se da un lato danno luogo a maggiori oneri per la finanza pubblica, dall’altro dovrebbero consentire di incrementare, rispetto al passato, il volume di investimenti sussidiato. Al contempo la nuova misura non presenta una importante caratteristica distintiva del precedente credito di imposta: l’automaticità.

Si tratta di un dettaglio di non poco conto. La letteratura sulla valutazione delle tradizionali agevolazioni alle imprese è difatti sostanzialmente unanime, con riguardo all’esperienza italiana, nel riconoscere la loro capacità modesta o nulla nel favorire volumi di investimenti maggiori rispetto a quelli che le imprese avrebbero realizzato anche in loro assenza (si vedano ad esempio i lavori di Accetturo et al., 2012, Bronzini et alii, 2006, Bronzini et al., 2008, Cannari et alii, 2007,  G. De Blasio e F. Lotti,  2010, Servizio Bilancio del Senato, 2006) Gli effetti rilevati peraltro sono principalmente riconducibili ad anticipi di investimenti piuttosto che addizionalità effettive¹. L’unica, parziale, eccezione è rappresentata dagli strumenti automatici, per i quali alcune analisi empiriche evidenziano effetti positivi nel promuovere l’accumulazione di capitale e l’ammodernamento dei processi produttivi nelle aree in ritardo di sviluppo. 

Ci sono molteplici ragioni per le quali gli incentivi automatici possono funzionare meglio. Da un lato questi strumenti sono molto meno costosi in termini di gestione; inoltre limitano i costi derivanti da un uso opportunistico o distorto delle risorse pubbliche, evitando le discrezionalità delle burocrazie; infine gli aiuti affluiscono attraverso sconti di imposta ad imprese mediamente più trasparenti che compensano i crediti con debiti di imposta e quindi contribuiscono implicitamente alla finanza pubblica. Come vedremo, gli effetti positivi sono stati riscontrati empiricamente, nel caso del credito di imposta Mezzogiorno, sia dalla Banca d’Italia che dall’Ufficio parlamentare di bilancio.

Scopo di questo paper è di verificare quale sia stata la capacità, nel suo primo anno di funzionamento, del nuovo credito di imposta ZES Unica nel favorire la realizzazione degli investimenti da parte delle imprese, in rapporto sia al costo sostenuto dalla finanza pubblica sia ai risultati conseguiti dal precedente credito di imposta.

A tal fine i paragrafi 2 e 3 analizzano, rispettivamente, la regolazione del credito di imposta Mezzogiorno, vigente fino al 2023, e le evidenze disponibili sulla sua efficacia e sui suoi effetti finanziari. Il paragrafo 4 descrive le modalità di funzionamento del nuovo credito di imposta ZES unica e le sue differenze con il precedente strumento. Il paragrafo 5 contiene un primo tentativo di valutazione finanziaria e di efficacia del nuovo credito di imposta, sulla base dei dati dell’Agenzia delle Entrate pubblicati il 12 dicembre 2024. In particolare, questi dati sono messi a confronto con le più scarse informazioni disponibili per il precedente credito di imposta Mezzogiorno, al fine di operare una prima comparazione di efficacia tra le due misure. Dall’analisi comparativa scaturiscono alcune criticità in ordine alla capacità del credito di imposta ZES Unica di supportare, nel suo primo anno di operatività, gli investimenti delle imprese. Il paragrafo 6 analizza le possibili cause a monte di tali criticità, mentre il paragrafo 7 è riservato ai suggerimenti di policy e alle conclusioni.

  1. Funzionamento ed evoluzione del credito d’imposta Mezzogiorno dal 2016 al 2023.

Il credito di imposta Mezzogiorno è stato introdotto dalla legge di Stabilità per il 2016 e riguarda l’acquisizione dei beni strumentali nuovi facenti parte di un progetto di investimento iniziale e destinati a strutture produttive ubicate nelle zone assistite delle regioni meridionali. 

Nella versione originaria il credito d’imposta era commisurato alla quota del costo complessivo dei nuovi beni strumentali eccedente gli ammortamenti dedotti nel periodo d’imposta, relativi alle medesime categorie dei beni d’investimento della stessa struttura produttiva. 

In altri termini, la base su cui calcolare l’importo del credito era rappresentata dagli investimenti al “netto” degli ammortamenti fiscali dedotti nel periodo di imposta.  

La struttura normativa del credito di imposta tendeva pertanto, secondo uno schema volto a massimizzarne l’efficacia in termini di addizionalità e contenimento degli oneri al bilancio pubblico, a concentrare i benefici fiscali a favore di quelle imprese che effettivamente contribuivano ad accrescere lo stock di capitale privato netto del Mezzogiorno, ripercorrendo, al riguardo, l’impostazione già seguita con la così detta “Visco-Sud” .

La legge di Stabilità 2016 prevedeva un meccanismo automatico per la fruizione dell’agevolazione, senza alcun “rubinetto” legato al superamento degli oneri previsti dalla norma di legge. I soggetti che intendevano avvalersi dell’agevolazione erano tenuti ad effettuare una comunicazione all’Agenzia delle entrate, che, a sua volta, procedeva alla verifica della correttezza formale dei dati comunicati. In caso di esito positivo dei controlli, l’Agenzia comunicava l’autorizzazione all’utilizzo in compensazione del credito d’imposta, che veniva concesso senza alcuna alea in ordine al suo effettivo importo. Il carattere di automaticità dello strumento rimarrà inalterato sino al 2023.

Nel suo primo anno di funzionamento, il credito richiesto dalle imprese si fermò a 146 milioni di euro a fronte di una copertura in legge di bilancio per 617 milioni.

Questa circostanza, presumibilmente legata anche alla novità dello strumento, contribuì sicuramente alle profonde modifiche della struttura dell’agevolazione operate dal Governo già a fine del 2016, tese a incrementarne sensibilmente l’accessibilità.

In sintesi, le modifiche prevedono, a decorrere dal 1° marzo 2017: 

  • la possibilità di cumulo del credito d’imposta con gli aiuti de minimis e con altri aiuti di Stato che insistano sugli stessi costi
  • l’aumento della misura del credito d’imposta spettante; 
  • la determinazione del credito d’imposta sulla base del costo complessivo dei beni acquisiti, rispetto ai soli investimenti incrementali
  • l’aumento dei massimali degli investimenti agevolabili relativi a ciascun progetto di investimento, al quale è commisurato il credito d’imposta per le PMI

Nel dettaglio, dal 2017 le aliquote agevolative competevano nella misura massima consentita dalla Carta degli aiuti a finalità regionale 2014-2020, ovvero il 45, 35 e 25 per cento, rispettivamente per le piccole, medie e grandi imprese situate in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Le percentuali di cui sopra si riducono di 15 punti per le imprese situate in determinati comuni delle regioni Abruzzo e Molise (regioni ‘in transizione’ nella programmazione 2014-2020).  

Secondo la nuova normativa, inoltre, la base di commisurazione del credito d’imposta spettante non era più rappresentata dagli investimenti al netto degli ammortamenti, bensì dal totale degli investimenti realizzati.  

Infine, il limite dei costi ammissibili era innalzato a 3 milioni di euro per le piccole imprese e a 10 milioni di euro per le medie imprese, mentre restava invariato a 15 milioni di euro il limite per le grandi imprese.

Le numerose novità del DL 243/2016 determinarono un incremento degli oneri legati all’utilizzo del credito d’imposta, considerate le variazioni in aumento relative sia alla dimensione e intensità del sussidio sia, soprattutto, alla potenziale platea di beneficiari. Tuttavia, il decreto non rivide al rialzo la relativa autorizzazione di spesa, presumibilmente in considerazione degli importanti residui dell’anno precedente.

La struttura regolatoria del credito d’imposta Mezzogiorno rimane sostanzialmente inalterata sino al 2023, mentre, a partire dal 2018 viene introdotto, e negli anni successivi novato, un credito di imposta potenziato, riservato agli investimenti effettuati all’interno delle zone economiche speciali previste dal decreto-legge n. 91 del 2017 .

Nel 2023, le caratteristiche distintive del credito di imposta ZES rispetto al credito d’imposta Mezzogiorno riguardavano la dimensione e le tipologie di investimenti ammissibili. Con riferimento al primo punto, i costi per investimenti all’interno delle ZES erano ammissibili a fini del credito d’imposta sino al limite di 100 milioni di euro. Con riferimento alle tipologie, l’ammissibilità era stata estesa nel 2022 anche all’acquisto di terreni, nonché all’acquisto, realizzazione, e ampliamento, di immobili strumentali agli investimenti, con il limite che il valore dei terreni e degli immobili non dovesse superare il 50 per cento del valore complessivo dell’investimento agevolato.

  1. Elementi di valutazione del credito d’imposta Mezzogiorno

Il consistente orizzonte temporale tra il 2016 e il 2023 consente di valutare la prima versione del credito d’imposta Mezzogiorno in relazione sia ai profili di finanza pubblica sia alla sua efficacia nel migliorare la competitività delle imprese beneficiarie e nel dare luogo ad investimenti “addizionali”, che non sarebbero stati realizzati in sua assenza.  

Con riferimento a quest’ultimo punto, va sottolineato che purtroppo non risulta sia stata resa pubblica la valutazione degli effetti del credito d’imposta operata dalla Banca d’Italia in esecuzione degli impegni assunti dall’Italia nell’ambito della Decisione della Commissione Europea che ha riconosciuto l’esenzione del regime di aiuto della misura. 

Una sintesi dei risultati di questa valutazione è comunque riportata all’interno di una recente audizione del Dipartimento delle Finanze. In particolare, “la valutazione d’impatto del credito d’imposta nei periodi d’imposta 2016-2020, mostra che la misura è stata efficace nell’incentivare gli investimenti in immobilizzazioni materiali e i livelli di occupazione, che risultano aumentati nel periodo 2018-2020. Anche gli investimenti in immobilizzazioni immateriali sembrano aver reagito all’incentivo; risultati conclusivi non sembrano, invece, emergere in merito all’efficacia dell’incentivo sulla produttività del lavoro. Gli effetti appaiono, inoltre, concentrati tra le imprese dei servizi di minore dimensione e prive di altri incentivi nel periodo precedente l’avvio della misura”. 

Accanto a queste sintetiche evidenze, è disponibile una strutturata valutazione ex post, relativa al periodo 2016-2019, ad opera dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb). L’analisi dell’Upb è stata effettuata attraverso “una tecnica che inserisce la valutazione degli effetti del credito di imposta nell’ambito di un modello generale di stima degli investimenti, selezionando attraverso una procedura di matching – prima di procedere alla stima – un campione di imprese confrontabili, distinguendole fra beneficiarie e non beneficiarie dell’incentivo in esame. I risultati delle stime indicano una indubbia efficacia dell’incentivo in termini di maggiore accumulazione di capitale nelle imprese beneficiarie rispetto a quelle non beneficiarie”.

La valutazione dei profili di finanza pubblica si scontra, invece, con l’insufficiente disponibilità dei dati forniti da parte delle amministrazioni finanziarie che gestiscono la misura. Con non poche difficoltà è stata comunque possibile una ricostruzione parziale, e unicamente a livello aggregato, della serie storica delle autorizzazioni di spesa, dei crediti richiesti e dei crediti compensati attraverso F24 relativi al periodo 2016-2023. 

La tabella 1 evidenzia come già nel corso del 2017, primo anno di modifica della struttura del credito, le richieste risultino superiori alle autorizzazioni di spesa, anche se le uscite di cassa sono ancora ampiamente inferiori. Negli anni successivi si assiste a un crescente sforamento dei limiti di spesa sia in termini di competenza (crediti richiesti), sia sforamento in termini di cassa (crediti compensati in F24). Quest’ultimo sforamento, in particolare, tende progressivamente ad aumentare secondo uno schema “a palla di neve”. A fine 2023 l’ammontare cumulato dei crediti utilizzati per il pagamento di imposte era pari a 9,7 miliardi, a fronte di coperture di legge per complessivi 6,7 miliardi. 

La tabella 2 mostra, infine, i dati finanziari relativi al credito di imposta relativo alle ZES, che evidenziano il modesto dinamismo che ha caratterizzato gli anni di istituzione e avvio delle precedenti zone economiche speciali.

Le tabelle 1 e 2 evidenziano come non sono disponibili dati relativi alle richieste di credito per il triennio 2021-2023. Tuttavia, considerando che i crediti compensati continuano a crescere di anno in anno e che per tutte le annualità comprese tra il 2016 e il 2020 il valore dei crediti richiesti risulta sistematicamente superiore a quello dei crediti compensati, l’ammontare complessivo delle richieste del periodo 2016-2023 deve senz’altro essere ben superiore al valore dei crediti compensati.

In conclusione, le analisi della Banca d’Italia e dell’Upb, assieme ai dati della Tabella 1, non fanno che richiamare, anche per il credito d’imposta Mezzogiorno, il tradizionale trade-off fra efficacia e compatibilità con i vincoli di finanza pubblica che caratterizza gli incentivi di carattere automatico. 

In termini generali le verifiche empiriche di efficacia degli strumenti di incentivazione degli investimenti sono deludenti. Solo con riferimento a strumenti di carattere automatico le analisi empiriche, soprattutto più recenti, evidenziano effetti positivi nel promuovere l’accumulazione di capitale e l’ammodernamento dei processi produttivi. Un incentivo concesso automaticamente in tempi certi e rapidi tende, difatti, a rafforzare gli effetti positivi sul rendimento atteso dell’investimento agevolato.

L’altro lato della medaglia degli incentivi automatici è tuttavia rappresentato dalla sostenibilità finanziaria, dal momento che si tratta di misure che tendono a generare un costo fiscale non esattamente prevedibile e controllabile dall’amministrazione finanziaria a causa della natura automatica dell’erogazione. Con riferimento al credito d’imposta Mezzogiorno l’amministrazione finanziaria ha sottostimato gli oneri della misura, nonostante i meccanismi di monitoraggio sui crediti richiesti e compensati avrebbero consentito con semplicità e tempestività di evidenziare gli scostamenti. 

Questa criticità, assieme all’introduzione di nuove disposizioni in grado di aumentare ulteriormente, come vedremo nel successivo paragrafo, il credito potenzialmente richiedibile da parte delle imprese, ha spinto il legislatore a sostituire il meccanismo automatico con una procedura idonea a contingentare l’accesso al beneficio entro i limiti prefissati dai tetti di spesa. In realtà, ma su questo torneremo in seguito, sarebbe stato auspicabile mantenere l’automaticità della misura adeguando in maniera realistica le coperture, man mano che una stima plausibile diveniva possibile. 

  1. Il credito di imposta ZES Unica

La procedura di contingentamento ha coinciso, nel 2024, con l’introduzione del nuovo credito d’imposta ZES unica (decreto-legge n. 63 del 2023) che sostituisce i crediti d’imposta relativi al Mezzogiorno e alle pregresse ZES, prevedendo il suo finanziamento per 1,67 miliardi di euro in relazione al solo 2024.

La misura si caratterizza innanzitutto per la previsione di aliquote agevolative più generose rispetto al passato, che coincidono con le aliquote massime consentite dal nuovo regime europeo degli aiuti a finalità regionale per il periodo 2022-2027. Il nuovo regime consente un incremento delle aliquote, a seconda delle regioni, tra i 5 e i 20 punti percentuali (cfr. ultime due colonne della tabella 3).

Viene poi introdotta una soglia dimensionale minima per l’ammissibilità degli investimenti all’agevolazione, pari a 200mila euro.

Con la nuova misura, inoltre, viene estesa a tutto il Mezzogiorno la regolazione del precedente credito di imposta ZES, introdotto nel 2018 e riservato agli investimenti effettuati all’interno delle zone economiche speciali previste dal decreto-legge n. 97 del 2017.

Dal 2024, pertanto, con riferimento all’intero territorio del Mezzogiorno:

  1. i costi per investimenti sono ammissibili ai fini del credito d’imposta sino al limite di 100 milioni di euro;
  2. le tipologie di investimenti ammissibili sono estese anche all’acquisto di terreni, nonché all’acquisto, realizzazione, e ampliamento di immobili strumentali agli investimenti, con il limite che il valore dei terreni e degli immobili non superi il 50 per cento del valore complessivo dell’investimento agevolato.

Le novità introdotte possono quindi essere ricondotte al perseguimento di due obiettivi:

  1. incrementare il volume degli investimenti realizzati nel Mezzogiorno, rendendoli “più convenienti” grazie alle modifiche in aumento delle aliquote, dei limiti di eleggibilità, nonché delle tipologie ammissibili;
  2. concentrare le risorse sugli investimenti di maggiori dimensioni, introducendo un limite finanziario minimo di ammissibilità.

Questa strategia di policy viene tuttavia perseguita in un quadro regolatorio diverso rispetto al passato, dal momento che il credito di imposta ZES Unica non è configurato come uno strumento a carattere automatico: le nuove regole prevedono infatti che il valore dei crediti richiesti non possa eccedere il limite di spesa fissato dalla norma. 

Non è difficile individuare la ragione della introduzione di queste nuove modalità di funzionamento nella vicenda del Superbonus, una incentivazione automatica il cui costo è stato sottostimato addirittura di centinaia di miliardi.  

Al riguardo, particolare rilevanza assume la modalità con cui è stato regolato il “rubinetto” che evita il rischio di sforamento. 

Solitamente, nei casi di plafonamento, è previsto un meccanismo di monitoraggio finanziario “in itinere” della misura, che consente alle imprese di usufruire pienamente dell’agevolazione sino a quando le loro richieste raggiungono il limite di spesa previsto. A quel punto la concessione/erogazione dell’agevolazione viene interrotta. Il principio che si applica è quello di soddisfare interamente tutte le richieste pervenute fino a concorrenza dei fondi. Va ricordato che in passato meccanismi di questo tipo sono stati usati estensivamente e che, se basate su prenotazione di fondi, possono dare luogo a richieste in eccesso appena lo sportello dell’agevolazione diventa disponibile. Alcune misure agevolative in effetti, in connessione con una particolare generosità, sono state sospese nel giorno stesso dell’apertura dello sportello (click day).

Il decreto ministeriale 15 maggio 2024 ha invece previsto un meccanismo diverso per assicurare il rispetto dei limiti di spesa da parte del credito d’imposta ZES unica, teso ad “accontentare” tutti i richiedenti, anche a costo di fargli ricevere una quota di credito inferiore a quella richiesta.

A tale scopo, il decreto ministeriale attuativo della misura prevedeva che:

  1. le imprese dovessero comunicare all’Agenzia delle entrate, dal 12 giugno al 12 luglio 2024, l’ammontare degli investimenti già sostenuti o che prevedevano di sostenere entro il 15 novembre 2024;
  2. l’Agenzia provvedesse a calcolare e rendere noto entro il 22 luglio il rapporto tra il limite di spesa e l’ammontare complessivo dei crediti d’imposta richiesti;
  3. ai fini del rispetto del limite di spesa previsto in legge, il credito d’imposta fruibile da ciascuna impresa sarebbe stato pari al credito richiesto moltiplicato per la percentuale di cui al punto 2). In pratica, ove le richieste fossero risultate superiori agli stanziamenti, il credito d’imposta sarebbe stato ridotto in maniera proporzionale per tutti i richiedenti.
  4. le imprese che avendo presentato la comunicazione di cui al punto 1, avessero realizzato investimenti per un ammontare inferiore a quello ivi indicato, dovevano comunicare all’Agenzia delle entrate, dal 3 febbraio 2025 al 14 marzo 2025, l’ammontare effettivo degli investimenti realizzati entro il 15 novembre 2024, e il relativo credito d’imposta maturato;
  5. l’Agenzia delle entrate avrebbe rideterminato e resa nota a marzo 2025 la percentuale di crediti richiesti ed effettivamente realizzati entro il 15 novembre. In pratica, in presenza di investimenti che le imprese avevano dichiarato di voler sostenere senza poi realizzarli entro il 15 novembre, l’intensità del credito d’imposta sarebbe stata rideterminata verso l’alto.

La procedura appena descritta presentava oggettivi caratteri di complessità e farraginosità, dal momento che le imprese sarebbero potute venire a conoscenza di una stima dell’effettivo valore delle aliquote non prima del 22 luglio 2024. Tale valore, tuttavia, rivestiva un carattere provvisorio, dal momento che sarebbe potuto aumentare nel caso in cui non tutti gli investimenti di cui al punto 1) fossero stati realizzati dalle imprese. L’informazione definitiva, invece, sarebbe pervenuta solo a marzo 2025, ben oltre il termine utile per realizzare gli investimenti. 

L’effettiva implementazione nel 2024 della procedura ha messo a nudo questi problemi.

Il 22 luglio 2024, difatti, l’Agenzia delle entrate ha comunicato che i crediti richiesti ammontavano a 9,45 miliardi di euro, rispetto a un limite di spesa di 1,67 miliardi: la percentuale di cui al punto 2) risultava pertanto pari al 17,6%, determinando così un valore dell’aliquota effettiva eccezionalmente inferiore a quella di legge.

A fronte di questa sensibile e, presumibilmente, inattesa discrasia, il Governo è intervenuto d’urgenza con il decreto-legge n.113 del 9 agosto 2024. 

Il decreto ha previsto lo stanziamento di ulteriori 1,6 miliardi a favore della misura e l’obbligo per le imprese di presentare, tra 18 novembre e il 2 dicembre, un’ulteriore domanda all’Agenzia delle entrate (sostitutiva di quella di cui al punto 1), in cui attestare unicamente gli investimenti effettivamente realizzati entro il 15 novembre.   

A seguito del nuovo decreto-legge la conclusione della procedura non era più rappresentata dalla comunicazione di cui al punto 5), bensì dalla comunicazione entro il 12 dicembre da parte dell’Agenzia delle Entrate, della percentuale definitiva per la quale moltiplicare il credito d’imposta richiesto; percentuale definita dal rapporto tra i nuovi limiti di spesa previsti dal decreto e gli investimenti effettuati. 

Il 12 dicembre 2024 l’Agenzia delle entrate ha comunicato che il credito d’imposta richiesto dalle imprese sulla base degli investimenti effettivamente realizzati ammontava a 2,5 miliardi e che pertanto la percentuale di cui al punto 2 era pari al 100%: le aliquote effettive del credito coincidono pertanto con quelle di legge.

Con riferimento al 2025, la legge di bilancio 2025 ha provveduto al rifinanziamento annuale della misura per 2,2 miliardi prevedendo, al contempo procedure di determinazione e concessione del credito sostanzialmente analoghe a quelle del 2024 e così riassumibili:

  1. Le imprese comunicano all’Agenzia delle entrate – tra il 31 marzo 2025 e il 30 maggio 2025 – l’ammontare delle spese ammissibili sostenute a partire dal 16 novembre 2024 e quelle che prevedono di sostenere fino al 15 novembre 2025;
  2. Le imprese trasmettono all’Agenzia delle entrate – tra il 18 novembre 2025 e il 2 dicembre 2025 – una comunicazione integrativa attestante l’avvenuta realizzazione entro il termine del 15 novembre 2025 degli investimenti indicati nella comunicazione precedentemente presentata;
  3. l’ammontare massimo del credito d’imposta, fruibile da ciascun beneficiario, è pari all’importo del credito d’imposta risultante dalla comunicazione integrativa moltiplicato per un fattore percentuale comunicato dall’Agenzia delle entrate entro 12 dicembre 2025. Tale percentuale è ottenuta rapportando il limite di spesa all’ammontare complessivo dei crediti d’imposta indicati nelle comunicazioni integrative.
  1. Valutazione finanziaria e di efficacia del credito d’imposta ZES unica sulla base dei dati dell’Agenzia delle Entrate

La procedura per la concessione del credito d’imposta ZES relativo al 2024 prevedeva, opportunamente, nella fase conclusiva, la comunicazione da parte dell’Agenzia delle entrate, per ciascuna regione meridionale e in modo distinto per ciascuna delle categorie di microimprese, di piccole imprese, di medie imprese e di grandi imprese, dei seguenti dati:

a)  il numero delle comunicazioni inviate;

b)  la tipologia di investimenti realizzati entro la data del 15 novembre 2024;

c)  l’ammontare del credito di imposta complessivamente richiesto e certificato.

Il contenuto di questi dati è riportato nella tabella 3 e consente, forse per la prima volta, di valutare in maniera tempestiva, sebbene a livello generale, una misura di incentivazione. Si tratta pertanto di un elemento di trasparenza che va senz’altro salutato positivamente.

L’aspetto più importante dei dati resi noti dall’Agenzia delle Entrate è che rendono possibile, sia pure con tutti i caveat di seguito segnalati, un confronto fra il nuovo credito di imposta ZES Unica e il precedente credito di imposta Mezzogiorno (e ZES per le aree limitate) riguardo il rispettivo grado di efficacia nello stimolare gli investimenti delle imprese nel Meridione.

Nel seguito viene pertanto effettuato un esercizio di valutazione consistente nel mettere a confronto i recenti dati del 2024 con le più scarse informazioni disponibili per le annualità relative al credito di imposta Mezzogiorno. 

Con riferimento a tali annualità, le tabelle 1 e 2 evidenziano come l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati relativi al credito richiesto dalle imprese sia il 2020. La natura eccezionale di questa annualità suggerisce, tuttavia, di utilizzare le informazioni relative all’anno 2019 (antecedente la crisi pandemica) come termine di confronto con i dati 2024 del credito di imposta ZES Unica. Nel 2019 il valore complessivo delle richieste relative al credito di imposta Mezzogiorno ha raggiunto 2.024 milioni di euro a cui vanno aggiunti, ai fini della nostra analisi, i 16 milioni di euro di richieste di credito di imposta relative alle 8 ZES preesistenti.

Il primo paragone tra le due misure agevolative può essere effettuato mettendo a confronto i 2,04 miliardi di credito complessivamente domandato nel 2019 con le richieste del 2024, senza considerare, tuttavia quelle relative agli investimenti in immobili, dal momento che tale tipologia di investimenti non era ammissibile all’agevolazione sino al 2020. Le richieste al netto della componente immobili ammontano a 2,2 miliardi di euro (terz’ultima colonna della tabella 3). Secondo questo confronto le richieste di credito sarebbero quindi aumentate, anche se marginalmente.

Il paragone appare, tuttavia, poco significativo, sia per i diversi fattori che possono influire sulle richieste relative alle due annualità (in primis il diverso livello delle aliquote) sia, soprattutto, perché l’informazione di maggior rilievo e interesse non consiste nel volume di credito richiesto, bensì nella dimensione degli investimenti che le due agevolazioni hanno contribuito a far realizzare.

Per gli anni antecedenti il 2024 non sono purtroppo disponibili né dati aggregati sul volume di investimenti realizzati con il contributo del credito di imposta, né, tantomeno, sulle loro tipologie, sulla distribuzione territoriale e sulla dimensione delle imprese che li hanno effettuati.

Per ovviare a tale vuoto informativo si è provveduto a ottenere una stima del volume degli investimenti agevolati nel 2019 attraverso il seguente percorso.

Il primo passo è stata la ripartizione dell’ammontare complessivo del credito richiesto nel 2019 fra le quattro categorie dimensionali di impresa di cui alla tabella 3. 

Difatti, dal momento che le aliquote agevolative cambiano al variare della dimensione delle imprese, una volta ottenuto l’ammontare di credito richiesto da ciascuna categoria, è possibile desumere il volume di investimenti realizzato dividendo, per ciascuna classe di impresa, il credito per l’aliquota.

Allo scopo di definire le percentuali con le quali ripartire il totale del credito richiesto nel 2019 sono percorribili due opzioni. La prima consiste nell’utilizzare le percentuali relative al 2024.

La seconda opzione è rappresentata dalle informazioni fornite dall’Ufficio parlamentare di bilancio sulla distribuzione per dimensione di impresa del credito di imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno relativo al 2020, cioè a una annualità immediatamente successiva a quella oggetto di analisi.

Il raffronto tra le percentuali relative a 2020 e quelle inerenti al 2024, presenta differenze significative per ciascuna classe di imprese (tabella 4).

Queste differenze consigliano di ripartire il totale del credito richiesto nel 2019 tra le quattro categorie dimensionali di impresa sulla base della quota di credito richiesta da ciascuna di loro nel 2020. Ciò per due ordini di motivi: la maggiore prossimità temporale e l’eliminazione delle potenziali “distorsioni” allocative presenti nel 2024 a seguito dell’introduzione del limite minimo di 200mila euro per l’ammissibilità degli investimenti all’agevolazione; tale limite, come vedremo, sembra con ogni probabilità aver contribuito alla sensibile riduzione della quota di credito richiesta dalle microimprese. 

Prima di passare alla stima degli investimenti agevolati nel 2019, il secondo passaggio è consistito nel tenere conto della diversa struttura delle aliquote tra le varie regioni meridionali.

Difatti, nel 2019, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia presentavano i requisiti per rientrare nella Zona A e godere dell’intensità massima di aliquota consentita dalla carta europea degli aiuti regionali relativa al periodo 2014-2020 (cfr. ultima colonna della tabella 2), mentre Abruzzo e Molise erano classificare, a livello europeo, come Zone C e usufruivano di aliquote più contenute. Per tenere conto di questa differenza è stata calcolata, sulla base della distribuzione territoriale delle richieste di credito del 2024, la percentuale imputabile alle Regioni Zona C (3,4%) e Zona A (96,6%).

Queste percentuali sono state applicate alle richieste del 2019 per ottenere il credito di cui hanno beneficiato le imprese ubicate in ciascuna delle due categorie di regioni (quarta e quinta colonna della tabella 5).

Una volta ottenuta la distribuzione del credito richiesto per le due categorie di regioni e le quattro classi di imprese, si è proceduto a dividere il credito per la corrispondente aliquota agevolativa vigente nel 2019, ottenendo così una stima del volume di investimenti sottostante il credito richiesto, che ammonta, complessivamente, a poco più di 5,4 miliardi di euro.

Le informazioni di maggior dettaglio così ottenute sull’annualità 2019 saranno, nel proseguo del paragrafo, messe a confronto con quelle comunicate per il 2024 dall’Agenzia delle Entrate per trarre prime indicazioni sugli effetti del nuovo credito di imposta ZES unica su:

  1. Categorie di beneficiari e dimensione media degli investimenti delle imprese;
  2. Volume complessivo degli investimenti realizzati.

Effetti sulle categorie di beneficiari e sulla dimensione degli investimenti

I dati ottenuti attraverso le stime della tabella 5 consentono di ricavare informazioni rilevanti su come le novità regolatorie del nuovo credito di imposta ZES unica abbiano inciso sul numero dei beneficiari e sulla dimensione degli investimenti.

La tabella 6 mette a confronto, con riferimento alle quattro tradizionali categorie dimensionali di impresa, l’evoluzione tra il 2019 e il 2024 del numero delle imprese richiedenti. La tabella 7 riporta la medesima evoluzione temporale con riferimento alle dimensioni degli investimenti realizzati. 

Le prime due colonne della tabella 6 evidenziano come il numero di imprese richiedenti il credito si riduca drasticamente da 41mila nel 2021 a 7mila nel 2024. Sebbene questo fenomeno riguardi in misura più intensa le microimprese, che crollano da 23mila a 1.500 unità, anche le imprese di piccole e medie dimensioni sono sensibilmente coinvolte; nel 2024 le piccole imprese beneficiarie si riducono a un quarto del valore del 2019, le medie imprese a poco più di un terzo.

Alla riduzione del numero delle imprese corrisponde un altrettanto sensibile incremento della dimensione media degli investimenti sussidiati, che passa, come evidenziato alla tabella 7, dai 130mila euro del 2019 ai 734mila del 2024 (631mila al netto degli immobili). 

Questi numeri sembrerebbero evidenziare come la rilevanza degli investimenti iniziali di taglia inferiore ai 200mila euro riguardi non solo le microimprese, ma anche quelle di piccole e medie dimensioni. L’esclusione di questi investimenti dal beneficio del credito e la conseguente riduzione numerica delle imprese fanno sì che l’importo medio degli investimenti incentivati risulti, per le prime tre categorie di imprese, ben maggiore rispetto al 2019.

Un discorso a parte meritano le grandi imprese, il cui numero appare leggermente in aumento rispetto al 2019. Nel loro caso, tuttavia, l’aspetto più rilevante è che l’importo medio degli investimenti realizzati rimanga sostanzialmente inalterato.

In ogni caso, la presumibile dimensione minima degli investimenti “esclusi” nel 2024 comporta che la rilevante modifica della platea dei beneficiari non incida in maniera significativa sulla distribuzione degli investimenti agevolati tra le diverse categorie di imprese. Nel 2024 unicamente la percentuale di investimenti riconducibili alle microimprese si riduce di sei punti percentuali, la metà dei quali si riversa sulle piccole imprese.

Le osservazioni di cui sopra consentono due considerazioni finali. 

La prima è che le modifiche regolatorie del credito di imposta ZES hanno comportato sensibili mutamenti nella platea delle imprese beneficiarie e la conseguente concentrazione delle risorse della misura su un numero più limitato di imprese operanti investimenti di dimensioni più elevate. Come già detto, questa sembra essere una delle finalità implicite della misura nell’ambito dell’impostazione strategica della nuova ZES Unica. 

La seconda considerazione riguarda la finalità della nuova misura di favorire gli investimenti di grandi dimensioni. Al riguardo la tabella 7 mostra come l’investimento medio delle 660 grandi imprese beneficiarie non superi gli 1,8 milioni (1,6 milioni al netto degli immobili), un valore leggermente inferiore a quello del 2019. Un dato che sembra evidenziare la ridotta efficacia, nel primo anno di attuazione, delle misure volte a incrementare la soglia e le tipologie degli investimenti ammissibili; su quest’ultimo punto va osservato come la quota di investimenti operata dalle grandi imprese tenda ad aumentare quando si escludono gli investimenti in immobili e fabbricati (ultime due colonne della tabella). Si tratta di evidenze che, come vedremo, richiamano l’opportunità di una riflessione sull’attuale quadro regolatorio della misura.

Volume complessivo degli investimenti realizzati

Il confronto non distorto tra i volumi di investimenti legati al credito di imposta tra le annualità 2019 e 2024 non è un’operazione immediata.

I dati stimati per il 2019, da un lato, e quelli relativi al 2024 forniti dall’Agenzia delle Entrate, dall’altro lato, contengono informazioni non immediatamente comparabili per tre ordini di motivi:

  1. l’assenza, nel 2019, di terreni e fabbricati tra le categorie di investimenti agevolabili;
  2. la non ammissibilità, nel 2024, degli investimenti inferiori a 200mila euro;
  3. lo shock inflazionistico intercorso tra le due annualità.

Con riferimento al punto a) è evidente che il confronto con i dati ottenuti per il 2019 può essere operato sottraendo ai dati complessivi forniti dall’Agenzia delle Entrate per il 2024 i valori di credito e investimento riconducibili agli immobili (tabella 8).

A seguito di tale sottrazione risulta come il credito di imposta ZES unica pur comportando, a parità di tipologie di investimenti sussidiati, un onere di finanza pubblica maggiore (seppur limitatamente) rispetto al precedente credito di imposta Mezzogiorno (2,22 contro 2,04 miliardi) consente di sviluppare un volume di investimenti produttivi (al netto di quelli immobiliari) sensibilmente inferiore (4,4 in luogo di 5,4 miliardi).

L’analisi sembra pertanto suggerire un effetto asimmetrico delle maggiori aliquote agevolative introdotte nel 2024. Tale aumento, difatti, se, da un lato, ha determinato un maggiore onere per la finanza pubblica dall’altro lato non ha dato luogo ad un maggior volume di investimenti indotto dal potenziale incremento dei rendimenti attesi. Questa asimmetria appare nitidamente osservando le righe relative alle piccole, medie e grandi imprese: in questi tre casi il credito di cui hanno beneficiato le imprese nel 2024 è lievitato rispetto al 2019, mentre gli investimenti realizzati si sono ridotti.

Ne consegue che, mentre la precedente misura presentava una leva della spesa pubblica pari a 2,7, il credito di imposta ZES Unica non va oltre il 2.

La differenza diventa ancora più evidente se calcoliamo il solo contributo privato agli investimenti scorporando la spesa pubblica. Nel 2019 il contributo privato agli investimenti è di circa 3,4 miliardi, mentre nel 2024 a fronte di 4,4 miliardi di investimenti, il sussidio statale ammonta a 2,2 miliardi, lasciando la spesa privata a poco meno di 2,2 miliardi. In questa prospettiva, i capitali destinati dalle imprese agli investimenti sarebbero stati del 55% più elevati nel 2019.

Per quel che concerne l’introduzione della soglia minima per gli investimenti ammissibili (punto b), dalla precedente sezione risulta evidente il suo impatto sul numero di imprese beneficiarie e sulla dimensione media degli investimenti agevolati. È di conseguenza del tutto plausibile che questa novità regolatoria abbia ridotto non solo in numero di imprese, ma anche il volume complessivo degli investimenti agevolati. 

In assenza di dati sulle richieste di credito per investimenti inferiori a 200mila euro presentate negli anni precedenti, è estremamente difficile quantificare questa riduzione.

Tuttavia, analizzando i tassi di variazione degli investimenti tra il 2019 e il 2024 relativi alle diverse categorie di impresa appare evidente come, a fronte di tassi di variazione negativi oscillanti per le altre categorie tra il 10 e il 15%, le microimprese presentano una riduzione del 44% degli investimenti complessivamente realizzati nel 2024. 

Considerata anche la riduzione della percentuale del credito imputabile alle microimprese, è plausibile che una quota di questa maggiore variazione negativa sia da imputare all’introduzione della soglia minima. A puro scopo esemplificativo, ipotizzando che l’intera maggiore variazione negativa relativa alle microimprese sia riconducibile all’introduzione della soglia minima e che, in assenza di tale soglia, la variazione sarebbe stata analoga a quella rilevata per piccole imprese, si può stimare che, in assenza di tale modifica regolatoria, l’agevolazione avrebbe potuto riguardare ulteriori investimenti per circa 370 milioni di euro. 

Al di là dell’esercizio di stima esposto, è evidente che la considerazione degli effetti restrittivi legati all’introduzione della soglia minima appare necessaria per una valutazione esaustiva e, ferma restando la validità delle considerazioni in precedenza espresse, attenua i differenziali negativi sul volume di investimenti generati nelle due annualità.

Da ultimo va evidenziato come sinora la comparazione tra le due annualità sia stata effettuata a ”prezzi correnti”, senza tenere conto dello shock inflazionistico intercorso tra il 2019 e il 2024.

Per confrontare, in termini reali, il volume di investimenti delle due annualità, occorre deflazionare le cifre del 2024 con un indice che tenga conto dell’inflazione dal 2019 al 2024. Il tasso di inflazione registrato da ISTAT dal gennaio 2020 al gennaio 2024 è del 16,2%. Deflazionando con questo indice le nostre due grandezze principali del 2024, emerge che il credito richiesto nel 2024 a prezzi 2019 corrisponde a 1,9 miliardi, leggermente inferiore a quello fruito nel 2019, mentre il medesimo esercizio applicato agli investimenti realizzati nel 2024 ne farebbe attestare il valore “2019” a circa 3,8 miliardi (con cui confrontare i 5,4 miliardi di investimenti realizzati 2019). 

In conclusione, gli esercizi di stima presentati in questo paragrafo, per quanto non scevri da aspetti problematici, sembrano fornire alcune indicazioni di fondo abbastanza consolidate. Difatti, le modifiche regolatorie operate per il 2024 se da un lato hanno dato luogo, come da attese, a un incremento del costo della misura e a una ridefinizione della platea dei beneficiari, dall’altro non sono state, sinora, accompagnate da un incremento nel volume degli investimenti sussidiati, bensì da una probabile loro contrazione, a cui si abbina un ancor più sostenuta riduzione della spesa privata per investimenti. 

Nei paragrafi seguenti si proverà ad analizzare le possibili cause di questa situazione.

  1. Credito di imposta ZES Unica: le possibili criticità operative

Il primo anno di funzionamento del credito di imposta ZES unica si è caratterizzato non solo per la complessità della sua regolazione, ma anche, come visto al paragrafo precedente, per i risultati non del tutto confortanti in termini di investimenti agevolati.

Questo paragrafo è riservato all’analisi dei possibili motivi alla base di questa performance, con particolare riferimento ad alcuni fattori legati alla novità della misura e soprattutto alle sue modalità di finanziamento e di regolazione delle procedure di richiesta e determinazione del credito.

6.1 Novità e rodaggio della misura

La performance 2024 del credito di imposta risente con ogni probabilità della novità, e conseguente “rodaggio”, della misura. Si tratta di un fenomeno che riguarda tutti i nuovi strumenti di incentivazione: le imprese devono prendere conoscenza e dimestichezza con modalità di funzionamento di una nuova agevolazione. I dati relativi al biennio 2016-2017 della tabella 3 evidenziano la portata del fenomeno anche per il precedente credito di imposta Mezzogiorno. 

Per il credito di imposta ZES unica l’effetto di novità e apprendimento per le imprese e di rodaggio generale delle procedure amministrative per l’accesso è stato particolarmente rilevante.

Nel 2024, difatti, l’effetto novità e apprendimento ha riguardato innanzitutto il plafonamento del credito entro i limiti di spesa previsti in legge, che è stato accompagnato da importanti modifiche idonee ad aumentare sensibilmente il credito richiedibile da ciascuna impresa. 

In generale, in assenza di dettagliate informazioni sulla dimensione e la distribuzione delle richieste di credito negli anni precedenti, le imprese non sono in grado di formulare previsioni affidabili su quello che potrebbe essere, tenuto conto degli stanziamenti previsti, il valore finale delle aliquote di incentivazione.

Queste problematiche, nel 2024, sono risultate particolarmente gravi, dal momento che sono state introdotte novità come le maggiori aliquote e l’estensione dell’accesso alla misura a nuove e maggiori tipologie di investimento in grado di determinare un incremento delle richieste di credito non facilmente prevedibile (probabilmente anche dal legislatore).  

Gli stanziamenti previsti in legge e le procedure indicate nel decreto attuativo non hanno aiutato le imprese in questo processo valutativo.

Il Governo, difatti, nonostante disponesse di informazioni finanziarie sull’andamento passato, ha previsto uno stanziamento iniziale che poi è stato costretto addirittura a raddoppiare in corso d’anno.

La percentuale di credito usufruibile rispetto a quello richiesto comunicata nel luglio 2024 dall’Agenzia si è rivelata quasi irrisoria in virtù del boom di domande presentato dalle imprese, rivelando in maniera plateale le distorsioni e le inefficienze che possono determinare, in tema di incentivi, meccanismi che consentano di prenotare l’agevolazione senza l’assunzione di alcuna obbligazione da parte del beneficiario. Ciò ha costretto il Governo a intervenire con decretazione di urgenza e a dichiarare che la percentuale indicata dall’Agenzia fosse “inattendibile”. 

Tuttavia, per quanto il livello determinato dalla comunicazione del 22 luglio fosse oggettivamente poco credibile, perché basato su semplici comunicazioni di intenzioni di investimento non documentate, resta il fatto che le imprese non disponevano di alcun altro parametro su cui fondare le loro aspettative. L’aumento delle aliquote, l’estensione dei limiti e delle tipologie di investimento ammissibili non consentivano difatti di basarsi sulle pochissime informazioni relative all’andamento delle richieste di credito degli anni precedenti.

Infine, considerato che dopo la comunicazione della percentuale di credito da parte dell’Agenzia rimanevano solo quattro mesi alle imprese per la realizzazione in tempo utile degli investimenti, appare plausibile un modesto effetto di addizionalità del credito nello stimolare nuovi investimenti. 

Se alcune dinamiche sono più prevedibili per il 2025 grazie all’esperienza intercorsa, continuano a permanere criticità che, se non corrette, rischiano di compromettere in maniera strutturale l’efficacia della misura. Di seguito sono analizzate le due principali criticità.

6.2 Venir meno del carattere automatico e incertezza sulle aliquote effettive

Il venir meno del carattere automatico del credito d’imposta determina necessariamente, soprattutto in virtù della procedura introdotta per l’acceso alla misura, un’incertezza sul livello effettivo (ex post) delle aliquote agevolative.

L’incertezza sul livello dell’aliquota tende a sortire effetti negativi sulle decisioni di investimento delle imprese. In fase iniziale tende a generare richieste eccessive rispetto alle reali capacità di investimento, ma la realizzazione concreta dell’investimento non può che essere depressa dalla incertezza sulla misura della effettiva fruizione del credito. L’effettivo ammontare dell’agevolazione rappresenta infatti uno degli elementi che concorre alla valutazione della redditività attesa e, pertanto, al raggiungimento di quella soglia minima che ne rende profittevole la realizzazione dell’investimento. Pertanto, l’incertezza sulle aliquote non può che ridurre il valore dell’agevolazione attesa, con conseguente rinuncia all’investimento.  

Se il livello effettivo delle aliquote è reso noto solo ex post e le coperture di spesa non sono credibili, le imprese adotteranno le loro decisioni di investimento sulla base delle informazioni disponibili, del loro atteggiamento riguardo al rischio, ma comunque basandosi su un valore delle aliquote inferiore a quello di legge. 

È pertanto presumibile che nel 2024 l’elevata incertezza sull’effettivo livello delle aliquote, soprattutto in presenza di iniziali stanziamenti di bilancio non ritenuti coerenti con le percentuali previste in legge, abbia depotenziato l’efficacia del loro incremento. Allo stesso modo, la circostanza che le aliquote effettive, a seguito di successivi rifinanziamenti, siano coincise, al termine della procedura, con quelle di legge, rappresenta un classico caso di “guadagno portato dal vento”. Le imprese che hanno realizzato investimenti sulla base di una aspettativa di incentivo più basso hanno ricevuto ex-post un trasferimento inatteso. In entrambi i casi il vero effetto di incentivo, l’obiettivo della misura, è blando. Ed infatti gli investimenti privati collegati alla misura sono sensibilmente inferiori al 2019.

La procedura 2025 prevede che la percentuale di credito, nonché le relative aliquote effettive usufruibili dalle imprese siano comunicate nel mese di dicembre. Questa disposizione consente sicuramente di evitare la situazione paradossale verificatasi lo scorso luglio, ma comporta che le imprese vengano a conoscenza dell’effettiva intensità dell’agevolazione unicamente dopo la data entro cui devono essere realizzati gli investimenti. 

Al riguardo, il percorso seguito dal Governo per definire i limiti di spesa per il 2025 è consistito, dapprima, nella conferma dello stanziamento inizialmente previsto per il 2024 (1,8 miliardi di euro). Questo stanziamento è stato poi incrementato durante l’iter di approvazione della legge di bilancio 2025 con il residuo non utilizzato (600 milioni) della dotazione di 3,2 miliardi prevista per il 2024 a seguito del decreto-legge n.113 del 9 agosto 2024. La dotazione complessiva per il 2025 è quindi di 2,4 miliardi di euro.  

Una prima valutazione della percentuale di credito fruibile, se le richieste fossero simili al 2024, dalle imprese si attesterebbe pertanto all’87%. Il Governo potrebbe poi utilizzare la comunicazione intermedia prevista a luglio 2025 per una valutazione di congruità dello stanziamento, almeno sulla base degli investimenti effettuati a quella data.

Appare comunque chiaro che l’incertezza sul livello delle aliquote, con i conseguenti effetti negativi sulle decisioni di investimento, forse in maniera meno grave, permane in maniera strutturale, al pari di altri limiti insiti nell’attuale regolazione della misura.

6.3 Proroga annuale vs programmazione pluriennale

Il finanziamento pluriennale assume un rilievo centrale affinché qualsiasi agevolazione possa incidere in maniera significativa sulla programmazione e sulla realizzazione degli investimenti da parte delle imprese, soprattutto con riferimento a progetti complessi e di grandi dimensioni. Questa affermazione assume ancora più rilievo per il credito di imposta ZES Unica, la cui norma istitutiva precisa che l’oggetto dell’agevolazione è rappresentato dagli investimenti facenti parte di un progetto di investimento iniziale, secondo la definizione del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014. Al riguardo, l’articolo 49 del regolamento definisce “investimento iniziale” un investimento in attivi materiali e immateriali relativo alla creazione di un nuovo stabilimento, all’ampliamento della capacità di uno stabilimento esistente, alla diversificazione della produzione di uno stabilimento per ottenere prodotti mai fabbricati precedentemente o a un cambiamento fondamentale del processo produttivo complessivo di uno stabilimento esistente.

Si tratta pertanto di investimenti “non ordinari” delle imprese che richiedono un orizzonte programmatorio e realizzativo che va oltre la singola annualità.

Il carattere annuale di finanziamento e/o di proroga della misura, associato a una incertezza sulla misura del rifinanziamento anno per anno, non può pertanto che ridurne sensibilmente l’efficacia nello stimolare investimenti, soprattutto di grandi dimensioni e da realizzare nell’arco di più anni, poiché le imprese al momento delle loro valutazioni e decisioni tenderanno a scontare negativamente in termini di valore atteso l’incertezza circa eventuali proroghe del credito ad annualità future non ancora coperte dalla norma e per le quali è sconosciuto l’effettivo livello di aliquota. 

L’evidenza del 2024 è, al riguardo, ben chiara: l’investimento medio realizzato dalle imprese di grandi dimensioni, che dovrebbero mostrare la maggiore propensione a realizzare “investimenti iniziali”, non va oltre il milione e ottocentomila euro. Un importo ben inferiore anche al limite massimo di investimento previsto per le piccole imprese sino al 2023 e che pone non pochi dubbi sulla reale necessità ed efficacia dell’estensione a 100 milioni di euro introdotta nel 2024.

  1. Conclusioni e proposte

Autorevoli istituzioni come l’Ufficio Parlamentare di Bilancio e la Banca d’Italia hanno riconosciuto l’efficacia della prima versione del credito di imposta Mezzogiorno nel favorire accumulazione di capitale, occupazione e redditività delle imprese beneficiarie. Si tratta di un risultato raramente riscontrato nelle valutazioni di precedenti misure agevolative introdotte in passato in Italia.

Dal 2024, questa misura è stata sostituita dal nuovo credito di imposta ZES unica. Per quanto possa apparire un semplice restyling terminologico della precedente agevolazione, il credito di imposta ZES unica contiene importanti novità.  Da un lato, difatti, si introducono condizioni di maggior favore per le imprese, dall’altro lato, nel timore che la più elevata intensità dell’agevolazione determini eccessivi oneri per il bilancio pubblico, si prevede un plafond massimo di spesa oltre il quale il credito non può essere più concesso.

Questo paper contiene una prima valutazione degli effetti della nuova misura sulla dimensione media e sul volume complessivo di investimento effettuata nonostante la novità del credito di imposta ZES e, soprattutto, la carenza di dati relativi alle annualità pregresse relative al credito di imposta Mezzogiorno. 

Sebbene sull’ammontare di investimenti “iniziali” sussidiati in ciascuno dei due anni presi in considerazione possano avere influito anche ulteriori variabili (ad esempio la politica monetaria), l’analisi comparata evidenzia sia un considerevole effetto della nuova misura sul numero dei beneficiari (minore) e sulla dimensione media degli investimenti (maggiore), imputabile all’introduzione di una soglia dimensionale minima degli investimenti ammissibili, sia un, almeno iniziale, effetto asimmetrico delle maggiori aliquote agevolative recentemente introdotte. 

L’aumento delle aliquote ha difatti determinato un (atteso) maggiore onere per la finanza pubblica non accompagnato, sinora, da maggiori volumi di investimenti. In particolare, l’esercizio di valutazione proposto, strutturato in maniera tale da rendere il più comparabile possibile i dati analizzati, evidenzia come il volume complessivo degli investimenti attivati nel 2024 dal nuovo credito di imposta tenda ad attestarsi al di sotto di quello riferibile nel 2019 al credito di imposta Mezzogiorno.  In altri termini non è ancora percepibile, dalla comparazione, il maggior volume di investimenti che avrebbe dovuto seguire l’incremento dei rendimenti attesi generato dalle nuove aliquote. 

Il carattere di novità e il complesso rodaggio delle procedure per l’accesso che hanno caratterizzato il primo anno di operatività, possono aver sicuramente influito sulla performance del credito di imposta ZES Unica. Potrebbero tuttavia sussistere ulteriori fattori di criticità.

Nei precedenti paragrafi tali fattori sono stati individuati nel carattere annuale della sua durata e nei meccanismi regolatori del rispetto dei limiti di spesa, in base ai quali le imprese richiedenti vengono a conoscenza dell’effettiva intensità dell’agevolazione solo dopo aver realizzato gli investimenti. 

Per quel che riguarda il primo punto, le leggi di bilancio 2024 e 2025 presentano uno schema di finanziamento basato su proroghe annuali. 

Con la legge di bilancio, 2025, in particolare, si è scelto di procedere unicamente alla proroga annuale, nonostante le disponibilità finanziarie venutesi a creare sino al 2029 a seguito della rimodulazione, in misura meno onerosa, dell’agevolazione “Decontribuzione Sud”.

Per il futuro, Il passaggio a un rifinanziamento pluriennale della misura circoscriverebbe gli effetti di sostituzione intertemporale e, soprattutto, consentirebbe di incidere in misura significativamente maggiore sulle decisioni di investimento delle imprese, soprattutto con riferimento agli investimenti di maggiori dimensioni.

Per quel che concerne il secondo punto, l’incertezza sul valore delle aliquote discende non solo dal venir meno del carattere automatico della nuova misura, ma anche dalle modalità con cui sono regolate le procedure per l’accesso e la determinazione del credito, in base alle quali l’effettiva percentuale di accesso al credito è resa nota solo dopo la realizzazione degli investimenti. 

L’incertezza di cui sopra tenderà ad azzerarsi unicamente nel caso in cui entrambe le parti in causa (Stato e imprese) valutino oggettivamente adeguate le coperture previste. In tal caso non sussisterebbero rischi né per lo Stato che le richieste di credito superino i limiti di spesa, né per le imprese che le aliquote effettive del credito siano inferiori rispetto a quelle previste in legge. A questo punto, però, il ritorno al carattere automatico della misura porterebbe solo benefici in termini di semplificazione procedurale e, soprattutto, efficacia nello stimolare maggiori investimenti. I vantaggi sarebbero notevoli, ma andrebbero contemperati con le richiamate maggiori coperture. 

Ove, invece, il carattere non automatico della misura debba essere considerato un vincolo insormontabile, alcune modifiche all’attuale regolazione potrebbero aumentarne l’efficienza. 

La prima riguarda la generosità del credito, il livello delle aliquote e l’attuale scelta regolatoria di “accontentare” in pari misura tutti i richiedenti attraverso riduzioni lineari delle loro domande.   Laddove i vincoli di bilancio non consentano stanziamenti tali da equiparare le aliquote effettive a quelle di legge, una riduzione di queste ultime risulterebbe più efficace in termini di semplificazione e migliore informazione per le imprese. 

Alternativamente si può considerare una rimodulazione della generosità sulle categorie di investimenti agevolabili. L’inclusione degli investimenti immobiliari in particolare che hanno assorbito 380 milioni circa del 2,5 miliardi di credito, appare discutibile. Se si può ipotizzare che tale inclusione faciliti anche gli investimenti industriali, non sembra possibile ci sia un effetto sulla produttività, la ragion d’essere dell’incentivo. Sembra quindi ragionevole che gli investimenti immobiliari vengano perlomeno incentivati in misura minore o con massimali molto più stringenti. Lo scopo del credito d’imposta non può essere quello di sussidiare acquisti di terreni o capannoni.

Nel caso in cui si intendesse mantenere inalterata la generosità dell’incentivo, andrebbe studiata una modalità diversa dall’attuale meccanismo di accesso alla misura. Questo modello, teso a soddisfare, sia pure solo parzialmente, tutte le richieste, si pone in forte contrasto con l’opportunità di assicurare certezze sull’effettivo livello dell’agevolazione, riducendone gli effetti reali. 

Per molti altri incentivi, il rispetto dei tetti di spesa è assicurato attraverso la concessione, al 100%, dell’agevolazione sino al raggiungimento di tali tetti. Un modello di questo tipo, in cui le imprese presentino, nel corso dell’anno, la domanda di agevolazione non appena effettuato l’investimento, potrebbe essere più consono, sia pur sempre in una logica di second best, anche per il credito di imposta, prevedendo due condizioni. 

La prima consiste nella periodica informazione fornita dall’amministrazione sull’ammontare di credito ancora disponibile. La seconda è che le richieste insoddisfatte possano trovare capienza attraverso una loro ripartizione sugli stanziamenti degli anni successivi oppure, come vedremo, sui fondi per la coesione; ciò al fine di attenuare la possibile distorsione di questo schema a sfavore degli investimenti più complessi, che hanno bisogno di una maggiore programmazione e tempi più lunghi di realizzazione. Si tratterebbe pertanto di uno schema che, vincolando l’accesso alla realizzazione dell’investimento, non rischia di dare luogo a esplosioni delle richieste tipiche del modello click day.

Le argomentazioni precedenti evidenziano in ogni caso la necessità di programmare accuratamente ed in maniera coerente le coperture e l’intensità degli incentivi. Con la maggiore intensità degli incentivi del nuovo Credito ZES e la espansione delle tipologie di investimenti incentivabili, un maggiore volume di investimenti incentivati diventa possibile solo laddove le coperture siano sensibilmente più elevate. Se l’obiettivo è incrementare in maniera significativa, rispetto al passato, gli investimenti sostenuti attraverso il credito ZES, l’attuale copertura della misura per il 2025 non appare adeguata, potendo assicurare un’aliquota agevolativa “piena” a non più di 5 miliardi di investimenti.

L’ultima proposta di policy tesa a garantire la “certezza” del livello dell’agevolazione riguarda la previsione di una rete di sicurezza attivabile con le risorse dei fondi destinati alle politiche di coesione. Questa rete dovrebbe essere finalizzata ad assicurare, in caso di incapienza degli stanziamenti di legge, la percezione del 100% del credito richiesto dalle imprese attraverso il contributo delle risorse rinvenienti dai fondi europei o nazionali per la coesione. È del tutto evidente come questa tipologia di intervento “di ultima istanza”, per essere davvero efficace debba essere considerato “credibile” dalle imprese. 

Attualmente, le norme sul credito di imposta ZES Unica prevedono che, qualora il credito complessivamente richiesto dalle imprese sulla base degli investimenti realizzati dovesse risultare superiore agli stanziamenti di legge, il Ministero delle imprese e del made in Italy e le Regioni delle ZES Unica possano prevedere di agevolare i medesimi investimenti a valere sulle risorse dei programmi della politica di coesione europea relativi al periodo di programmazione 2021- 2027 di loro titolarità, “ove ne ricorrano i presupposti e nel rispetto delle procedure, dei vincoli territoriali, programmatici e finanziari previsti da detti programmi”.

La presente strutturazione della rete di sicurezza sconta pertanto limiti non indifferenti che ne minano la credibilità da parte degli agenti economici. 

In primo luogo, la messa in campo della rete è eventuale e rimessa alle valutazioni e disponibilità delle amministrazioni titolari dei programmi del Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR). 

In secondo luogo, non potrebbero trovare finanziamento i crediti richiesti dalle grandi imprese, escluse dall’ambito di finanziamento del FESR. 

Inoltre, le fasi di certificazione e rendicontazione delle spese potrebbero incontrare non poche difficoltà, tra l’altro già verificatesi nel corso del precedente ciclo di programmazione. Queste difficolta riguardano innanzitutto l’atteggiamento non particolarmente favorevole della Commissione riguardo l’utilizzo dei fondi europei per finanziare strumenti automatici. Tale circostanza portò alla previsione normativa di circoscrivere, nella programmazione 2014-2020, la possibilità di rendicontazione agli investimenti coerenti con le strategie di specializzazione intelligente. Altrettante difficoltà furono incontrate nella raccolta presso le imprese, a distanza di tempo, della documentazione necessaria per la rendicontazione (documentazione diversa e ulteriore rispetto a quella necessaria per accedere al credito).

La credibilità della rete dei fondi coesione potrebbe invece essere fortemente rafforzata attraverso l’accantonamento/congelamento di una quota dello stanziamento annuale delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) 2021-2027 da utilizzare, ove necessario, per assicurare la fruibilità al 100% del credito di imposta ZES Unica. Si tratterebbe di un accantonamento di importo compatibile con la dimensione generale del FSC (per il 2025 si sarebbe potuto prevedere un accantonamento di circa 1 miliardo) e che verrebbe immediatamente “liberato” in caso mancata necessità.

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Il position paper comprensivo di note a pie di pagina è consultabile dal seguente file