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Scuola primaria e cittadinanza

Edizione 2023

Position paper a cura di Maria Ludovica Agrò e Maria Rosaria Brunetti

Premessa

Il Manifesto fondativo di Merita[1] individua nella scuola uno dei cinque punti di partenza per rilanciare il Mezzogiorno: “Investire nel settore scolastico e universitario è per noi una priorità: riqualificazione dell’edilizia e apertura di nuove strutture per la prima infanzia; agevolazioni ai nuclei familiari meno abbienti per asili nido e materne; riduzione della dispersione scolastica nei cicli primario e secondario; finanziare l’istruzione universitaria, valorizzare il merito e costituire poli di eccellenza nella formazione e nella ricerca al Sud”.

Vista dal Sud la scuola italiana è un’istituzione in difficoltà. I dati e le indagini condotte di recente lo mettono in rilievo in modo univoco. Partiamo dal Rapporto OCSE Trends Shaping Education 2022 per focalizzarci su alcune grandezze significative. In Italia, la spesa pubblica per l’istruzione da primaria a terziaria è stata pari al 7,4% della spesa pubblica totale un valore inferiore alla media dell’OCSE (10,6%). Inoltre, in rapporto al PIL, il dato della spesa pubblica per l’istruzione da primaria a terziaria (3,6%) è inferiore a quello della media dell’OCSE (4,4%). Questo è un indice fondamentale per sapere quanta importanza un Paese attribuisce all’istruzione.

In Italia il 92% dei bambini fra i 3 e i 5 anni frequentano la scuola dell’infanzia, un dato che vede l’Italia al di sopra della media Ocse, anche se il monte ore di insegnamento del nostro Paese è inferiore alla media della UE (rispettivamente 945 e 1071) ore con cui sempre è più opportuno confrontarci rappresentando il nostro ecosistema di riferimento sovranazionale, con una netta minore offerta oraria nelle regioni meridionali. Nei successivi gradi di istruzione fino alla scuola secondaria di primo grado il monte ore (744 alla primaria, 608 alle medie) risulta poco al di sotto della media Ue (rispettivamente 740 e 659), anche se, ed è quanto più ci interessa in questo documento evidenziare, sono presenti forti disuguaglianze e ampi divari territoriali, con le regioni del Mezzogiorno di nuovo in netto svantaggio rispetto a quelle del Nord in termini di servizi fruibili ad esempio nell’offerta di tempo pieno, nella disponibilità di mense scolastiche e di palestre.

Sistema 0-6 anni

Guardiamo al sistema 0-6 collegandolo opportunamente anche al duplice tema cui è strettamente correlato della maternità e dell’occupazione femminile. Già con la legge del 1971 che istituì in Italia gli asili nido comunali per i bambini fino a 3 anni era evidente come si trattasse di un progetto sociale di grande interesse pubblico.

L’Italia è uno degli stati Ue più in ritardo nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro. E’un dato da tempo segnalato fra gli altri dall’EIGE Istituto Europeo della parità di genere ma anche da indagini consolidate negli anni di ISTAT[2] e INAPP[3]. Dopo la nascita di un figlio, il tasso di occupazione femminile – già basso – cala: un dato significativo da evidenziare riguarda la maggior parte degli altri stati membri dell’Unione, in ben 22 paesi su 27 le donne con tre figli lavorano più di quelle italiane con un unico bambino e se confrontassimo il dato solo meridionale e non di media nazionale la forbice si allargherebbe ancora di più. Nelle aree a più bassa occupazione femminile tutte situate nel Mezzogiorno mancano i servizi per l’infanzia che la recente – Raccomandazione Consiglio dell’Ue 14785/22, 29 novembre 2022 sul tema indica  come strategici perché  “la disponibilità di servizi di assistenza a costi sostenibili e di alta qualità incide in modo altamente positivo sulla situazione occupazionale dei prestatori di assistenza, in particolare delle donne”. Sono 12 le province dove meno del 40% delle donne tra 35 e 44 anni sono occupate e nessuna di queste raggiunge i 20 posti nido ogni 100 bambini presenti. Parliamo dei territori di Palermo, Vibo Valentia, Barletta-Andria-Trani, Siracusa, Catania, Cosenza, Agrigento, Enna, Caserta, Messina, Caltanissetta e Napoli. 

Certamente la relazione fra aree a minore occupazione femminile e asili nido va letta nei due versi occorre tenere conto cioè che i territori con minore occupazione potenzialmente esprimono una minore domanda di servizi. Tuttavia non si può ridurre tutto a quest’unica dimensione che non può essere data per scontata e assecondata se non si vuole assistere ad un congelamento del perdurare di questo mancato diritto dei bambini e delle donne del Sud rispettivamente alla socializzazione  e a pari opportunità di benessere. Inoltre va tenuto conto che, come emerge da altre ricerche, nelle regioni del Mezzogiorno è molto più alta che a livello nazionale anche la quota di anticipatari alla scuola primaria a conferma che una domanda latente del servizio esiste[4]. Infatti se è proprio nei territori con pochi asili nido che gli anticipi sono più frequenti vuol dire che è la scuola dell’infanzia a farsi carico di una domanda che già oggi esiste, pur non essendo intercettata dall’offerta di nidi, ancora inadeguata in molte aree del paese.

Una prima riflessione sugli interventi PNRR per rispondere a questa emergenza. Il PNRR destina 4,6 miliardi di euro per il piano asili nido e scuole dell’infanzia, con l’obiettivo di creare oltre 264 mila nuovi posti per la fascia 0-6 anni. La parte più cospicua è assegnata attraverso un bando di cui 2,4 mld € sono destinati agli asili nido. Il bando ha vissuto fasi di difficoltà e anche nell’assegnazione dei fondi molti sono stati gli elementi di preoccupazione. La domanda di questi servizi, come si diceva, al Sud non ha dimensioni tali da sostenere al momento l’offerta programmata e la difficoltà di recuperare le risorse per la gestione corrente acutizza le difficoltà di attuazione di queste strutture mettendone a rischio la realizzazione. Solo uno sforzo di fiducia nel futuro dei decisori politici e degli amministratori che gestiscono sui territori risorse e strutture può far segnare un cambio di passo.

La Fondazione Merita sostiene fortemente la necessità di approfondimento degli elementi che impediscono di spezzare questa spirale corresponsabile dello stallo dello status quo sollecitando da parte della PA centrale e locale un approccio di maggiore capacià di individuare i fabbisogni specifici di ogni territorio, integrando gli interventi con le politiche attive di sostegno all’occupazione femminile e coinvolgendo le imprese in politiche di promozione delle condizioni di equilibrio fra vita e lavoro, superando la sola ottica di genere che vedeva la conciliazione e non l’equilibrio di vita per tutti come obiettivo di queste politiche.

Non possono poi   essere trascurati nella valutazione delle politiche messe in campo gli ottimi risultati prodotti dall’istruzione prescolare precoce in merito al miglioramento del linguaggio e sulle capacità di apprendimento del bambino in particolare appartenente alle classi sociali più svantaggiate[5]. Lo studio del Virginia Rech Research Institute si presenta come di riferimento sull’argomento, ed evidenzia come nell’ambito di alcuni giochi economici di test i partecipanti che hanno ricevuto educazione prescolare fossero più capaci di prendere decisioni basate sull’ interesse sociale e si siano rivelati più focalizzati sulle interazioni future, contrariamente a quelli privi di questa esperienza che restano focalizzati sui risultati a breve del confronto relazionale e quindi meno capaci di una visione delle ricadute a lungo termine delle loro scelte. Un investimento nell’educazione prescolare in particolare rivolta alle classi più disagiate, potrebbe portare a una modificazione della sensibilità verso le norme sociali, promuovendone un maggior rispetto. Questo comporta che gli ambienti di apprendimento innovativi devono essere precocemente curati e assicurati soprattutto laddove si presentano forti divari e una più spiccata condizione di svantaggio delle famiglie. Se si guarda al ciclo 0-6 per l’importanza dimostrata che riveste, sviluppandone cioè tutte le potenzialità per formare gli individui di domani lo si deve considerare il ciclo che pone le basi di una migliore performance formativa lungo tutto il processo scolastico e quindi diventare un diritto non rinunciabile per tutti i nati.

La scuola primaria

Il ciclo su cui la Fondazione Merita si è impegnata di più è quello della scuola primaria. La scuola è l’unica Agenzia educativa che raggiunge tutti ed è da questa che parte il rilancio del Mezzogiorno cui serve la creazione di cittadini e classi dirigenti non estrattive ma inclusive e serve superare la dispersione scolastica e quel divario fra studenti che vengono da famiglie abbienti e da famiglie disagiate che solo potrà garantire un nuovo Sud. La dispersione scolastica ha molteplici fattori concomitanti che la determinano e la rendono un fenomeno molto complesso ma una parte è sicuramente legata al bagaglio culturale familiare o all’assenza di esso e collegata direttamente alla povertà educativa[6]. La scuola ha, ne siamo convinti, un ruolo centrale nello sviluppo delle competenze e della conoscenza dei bambini e poi dei giovani ma anche nella costruzione della consapevolezza che vivono in un mondo il cui ambiente naturale va protetto, che è abitato da esseri viventi e umani la cui diversità è ricchezza e merita rispetto, che il lavoro dell’uomo deve produrre valore aggiunto e essere finalizzato al bene comune e infine ma non meno importante di vivere in una democrazia liberale che deve garantirgli di potere scegliere di sviluppare i loro talenti lì dove sono nati. Nella convinzione che tutti siamo chiamati a rendere effettivo l’art. 3 della Costituzione “per rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” occorre chiamare alla responsabilità educativa tutti gli attori preposti perché al Sud sono ancora molti gli ostacoli che si frappongono allo sviluppo dei talenti. Contrastare i fenomeni di segregazione e quelli di carenza di apprendimento può essere fatto solo a patto di superare l’isolamento in cui opera l’istituzione scolastica oggi senza contatti con imprese e istituzioni locali, inserita nel territorio unicamente come localizzazione, con l’abitudine di detenere con le famiglie colloqui e relazioni quasi esclusivamente legate al singolo allievo e non allo stesso percepito come membro di una comunità.  

Nasce da queste valutazioni e dall’urgenza di affrontare in età precoce e fertile le criticità messe in luce il progetto Campionato dei valori[7], promosso da Merita che intende diffondere la cultura del bene comune e della partecipazione attiva tra le giovani generazioni del Sud Italia attraverso la promozione di azioni educative, che coinvolgano i minori, le loro famiglie, l’intera comunità scolastica e territoriale comprese istituzioni e imprese stimolando la riflessione valoriale e la pratica sociale e civile della responsabilità individuale e collettiva. È un concorso tra scuole in cui è premiata la partecipazione e l’attività condivisa sui temi fondanti della vita sociale e civile (Solidarietà, Inclusione, Parità di genere, Lavoro e sviluppo, Sostenibilità, Eguaglianza nei diritti, Legalità) per metterne in pratica i principi. Il progetto si basa sulle due metodologie internazionalmente riconosciute: la Philosophy for Children (P4C) e la Service-Learning (SL)[8] che per la prima volta sono associate  per conseguire come principale obiettivo educativo lo sviluppo della capacità di pensare in modo autonomo e critico per poter esplorare in profondità le idee, i fini, i valori che orientano le esperienze di vita di individui e comunità e attivarsi concretamente  poi per trasformare quanto hanno  riflettuto in un azione concreta a favore del bene comune. Il legame che si intende creare con la presentazione dei lavori finali all’Università, una delle sei aderenti al progetto, è finalizzato a far vivere agli allievi il valore del loro impegno di apprendimento valore che gli permetterà di ambire ai più alti livelli di istruzione. In ultimo ma non poco rilevante questo progetto ha come ricaduta preziosa un impatto importante sulla comunità scolastica educante perché prevede la formazione dei docenti a questi approcci educativi integrati che coinvolgerà non solo i docenti delle classi partecipanti delle scuole aderenti ma attraverso di essi una più larga disseminazione al corpo docente anche non direttamente coinvolto innescando così un processo di sostenibilità del progetto a più lungo termine.


[1] https://www.associazionemerita.it/le-cose-da-fare/scuola-universita

[2] https://www.istat.it/it/files/2021/03/3.pdf

[3] https://oa.inapp.org/xmlui/bitstream/handle/20.500.12916/3683/INAPP_Rapporto_2022.pdf?sequence=4&isAllowed=y

[4] https://www.openpolis.it/numeri/nelle-regioni-del-mezzogiorno-piu-anticipatari-alla-scuola-dellinfanzia/

[5] Studio condotto dal Virginia Tech Research Institute, descritto sulla rivista Nature Communication

[6] https://www.invalsiopen.it/poverta-educativa-sud-piano-intervento-istruzione/

[7] https://www.campionatodeivalori.it

[8] Nel 2022 anche sul sito di Indire si trovano elementi relativi legati alle politiche di coesione https://www.scuola7.it/2022/294/service-learning-e-pon-per-la-scuola/